Un romanzo non è una confessione dell’autore, ma un’esplorazione di ciò che è la vita umana nella trappola che il mondo è diventato.
Milan Kundera
Gli scrittori più autentici, quelli capaci di arrivare con le loro parole davvero fin dentro l’Anima del lettore, sono coloro che mettono in gioco prima di tutto la propria Anima, esplorandola e scoprendola attraverso la Narrazione, per poi confezionarla sottoforma di storia in maniera rielaborata e trasfigurata. Il romanzo o il racconto che viene fuori da tale lavorio non può essere, dunque, altro che l’esperienza (anche solamente interiore) dell’autore ri-vissuta e ri-scritta.
Un esempio di questo potere di intima revisione esistenziale offerto dal mezzo della Scrittura si può notare nelle opere dello scrittore ceco Milan Kundera, e in particolare dal romanzo che è considerato il suo capolavoro, L’insostenibile leggerezza dell’essere. Al centro della storia ci sono quattro personaggi, di cui lo scrittore segue gli sviluppi, gli intrecci, le relazioni reciproche e le evoluzioni, così come indaga con suggestività i loro pensieri e le loro emozioni più recondite, attraverso introspezioni che vanno ben oltre la superficie. Non sono, tuttavia, i personaggi stessi a parlare: il narratore coincide, piuttosto, con l’autore stesso, complice del lettore nel guardare le vite dei personaggi fluire pagina dopo pagina e nell’addentrarsi con sempre maggior coinvolgimento nelle loro anime di carta. Ma le loro anime diventano sempre più vive, vere, in quanto i loro pensieri toccano interrogativi universali, fanno da specchio a suggestioni tratte dal mondo quotidiano e, dunque, aprono riflessioni profonde altamente condivisibili e sentite, tanto dall’autore quanto dai lettori.
Ciò si evince anche nei passaggi apparentemente più banali, come quando uno dei personaggi decide di uscire e raggiungere il fiume:
Voleva vedere la Vlatava. Voleva fermarsi sulla riva e guardare a lungo l’acqua, perché la vista dell’acqua che scorre placa e guarisce. Il fiume scorre da sempre e le vicende degli uomini si svolgono sulla riva. Si svolgono per essere dimenticate il giorno dopo e perché il fiume scorra oltre.
Sono tracce come queste, disseminate per tutto il romanzo, che riescono a mostrare una autentica e instancabile Ricerca del Sé, che trasforma qualsiasi momento in un momento potenzialmente chiave. Trovano posto, allora, come parte integrante del percorso interiore dei personaggi, occasioni per toccare e affrontare tematiche fondamentali per ogni essere umano, come il senso della vita, l’angoscia di esistere, il fallimento e il dolore. L’indecisione iniziale di Tomáš rispetto alla sua vita sentimentale si trasforma così immediatamente in una riflessione molto più profonda che chiama in causa la struttura stessa della vita, che, per via della sua irripetibilità e della sua unicità, è inevitabilmente costellata di errori. Ecco, dunque, che si affaccia la metafora della vita umana come uno schizzo:
Ma nemmeno «schizzo» è la parola giusta, perché uno schizzo è sempre un abbozzo di qualcosa, la preparazione di un quadro, mentre lo schizzo che è la vita è uno schizzo di nulla, un abbozzo senza quadro. […] Quello che avviene soltanto una volta è come se non fosse mai avvenuto. Se l’uomo può vivere solo una vita, è come se non vivesse affatto.
Cos’è, d’altronde, l’insostenibile leggerezza dell’essere che dà titolo al romanzo? Riconoscere che la vita, in fondo, non è un dramma della pesantezza – dei grandi tumulti o degli eventi rivoluzionari – bensì un dramma della leggerezza, dove il fardello che grava su ognuno di noi è la scoperta del vuoto, del continuo fluire dei momenti che scorrono proprio come l’acqua del fiume Vlatava.
L’aspetto significativo, però, del romanzo di Kundera, è il contributo che esplicitamente ci offre a proposito del valore che la Scrittura può avere come Ricerca e Narrazione del Sé. Fino a che punto lo scrittore entra in gioco nella sua produzione? Si può forse creare una Narrazione del Sé senza che sia per forza autobiografica? Kundera risponde a questa domanda con una piccola digressione preziosissima per comprendere il rapporto che può instaurarsi tra uno scrittore e la sua opera di finzione, ovvero, anche, tra uno scrittore e i personaggi a cui ha dato vita.
Contrariamente all’opinione comune che vede sempre i personaggi di un romanzo come riflesso dell’autore, Kundera presenta una spiegazione differente descrivendoli come «le mie proprie possibilità che non si sono realizzate», poiché nati essenzialmente «da una situazione, da una frase, da una metafora contenente come in un guscio una possibilità umana fondamentale che l’autore pensa nessuno abbia mai scoperto». Tomáš, Tereza, Franz e Sabina non sono, dunque, immagini di Kundera, bensì i suoi aspetti rimasti nascosti e taciuti che lui ha ri-conosciuto e che ha deciso di affrontare sulla carta. È questo che lo porta ad affermare:
[…] voglio bene a tutti [i miei personaggi] allo stesso modo e tutti allo stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha superato un confine che io ho solo aggirato. È proprio questo confine superato (il confine oltre il quale finisce il mio io) che mi attrae. Al di là di esso incomincia il mistero sul quale il romanzo si interroga.
È in virtù di questo mistero – che alberga innanzitutto nell’autore stesso – e attraverso questo tentativo di utilizzare le vicende dei personaggi per pungolare ancora di più i limiti del proprio Io e, speranzosamente, superarli, che viene a compiersi allora la più sublime Ricerca del Sé, proprio in quanto si svela e si sviluppa nel corso della Scrittura stessa. Non narrando direttamente le sue esperienze concrete, Kundera riesce paradossalmente a realizzare la più autentica Narrazione del Sé, quella dei conflitti interiori, delle speranze e delle paure più recondite, delle strade che non sono state mai percorse ma che sono sempre rimaste nel fondo della propria Anima pronte ad essere esplorate.
La distinzione tra autore e personaggi si conferma netta, eppure il romanzo, pur non raccontando eventi realmente esperiti, conserva sensazioni e riflessioni interiori vissute in prima persona, di modo che chi scrive evolve interiormente insieme ai personaggi, anzi proprio grazie ai personaggi che, in qualche modo, permettendogli di vedere tratti di sé inediti dal di fuori, lo conducono un pochino più in là di quanto non sarebbe mai riuscito a fare da solo.
Riferimenti bibliografici:
M. Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi, Milano, 1985.