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Ricerca e Narrazione di Sé nella Scrittura di Amélie Nothomb

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Ricerca e Narrazione di Sé nella Scrittura di Amélie Nothomb

Non sappiamo niente di noi. Ci crediamo abituati a essere noi stessi.
È il contrario. Più gli anni passano e meno capiamo chi sia la persona nel nome della quale agiamo e parliamo.

Amélie Nothomb

Scavare dentro sé stessi attraverso la scrittura è ciò che emerge nei romanzi della scrittrice belga Amélie Nothomb, molti dei quali sono imbevuti di suggestioni tratte dal proprio vissuto personale e alcuni dichiaratamente autobiografici. La sua vita è stata segnata da trasferimenti in tutto il mondo – a partire dall’infanzia in Giappone e in Cina, l’adolescenza a New York e in Bangladash, fino ad arrivare all’attuale residenza tra Bruxelles e Parigi – che le hanno permesso di vivere molteplici esperienze e di raccogliere, in quanto scrittrice, numerosi spunti per i suoi lavori.

Ricerca e Narrazione di Sé nella Scrittura di Amélie Nothomb
Amélie Nothomb – “La vita inizia laddove inizia lo sguardo.”

Tuttavia, a rendere i suoi romanzi autobiografici particolarmente preziosi non è la singolarità delle vicende raccontate, bensì le riflessioni profonde che accompagnano anche le situazioni all’apparenza più comuni e banali. La scrittura diventa, infatti, un mezzo per compiere una ricerca del sé, ovvero nel concreto per ritrovare ricordi perduti e associarli a emozioni e pensieri che hanno orientato la costruzione della sua identità. Pagina dopo pagina, riga dopo riga, l’intento della scrittrice è riappropriarsi, allora, della propria storia, ricomponendola e riordinandola in una forma in grado di tentare di offrire una risposta alla domanda più universale di tutte: “Chi sono io?”. La scrittura – quella concreta – corrisponde allo stesso tempo a una ri-scrittura spirituale, una ri-scrittura di vita che mira a rendere più consapevoli di sé e più autentici.

Nel romanzo Metafisica dei tubi, questo tentativo di ricerca affonda le radici addirittura in una fase di pre-storia, quando Amélie è solo una neonata, incapace di trattenere memoria di ciò che le succede. La Nothomb tenta di ricostruire il proprio Sé anche in questa fase primordiale, grazie all’immaginazione e all’intuizione delle sue sensazioni, oltre che ai racconti degli altri. Quanto ai ricordi propri, ne trova l’origine all’età di due anni e mezzo, collegandola all’aver assaggiato per la prima volta il cioccolato bianco. Da questo evento apparentemente di scarsa importanza, la scrittrice fa partire non soltanto l’inizio del meccanismo della memoria, ma la sua vera e propria “nascita” insieme al principio di formazione di una “identità”.

Amélie Nothomb - Metafisica dei tubi
Amélie Nothomb. Metafisica dei tubi.

In tutto il romanzo, che racconta eccezionalmente soltanto i primi tre anni di vita, si alternano elementi quotidiani e momenti più significativi, tutti riletti da questa prospettiva adulta e matura che finalmente può dare nuova definizione e profondità a quanto è accaduto. Così avviene, ad esempio, nel ricordo di una caduta in uno stagno, che si trasforma da incidente in un tentativo di suicidio, come primordiale e istintiva attrazione verso il mistero della morte. Dando via libera al ricordo, sviscerando i sentimenti che accompagnavano la caduta e il successivo rifiuto di reagire, la scrittrice riesce a rendere una immagine di quel passaggio segreto tra vita e morte e del valore che esso ha avuto nella sé bambina, ancora inconsapevole:

Poco a poco, la terza persona singolare riprende possesso dell’ ‘io’ che mi è servito per sei mesi. La cosa, sempre meno viva, sente che sta ridiventando il tubo che forse non ha mai smesso di essere.

Questo evento, rimosso per via della piccola età, è stato fondamentale per plasmare il suo intero percorso di vita, ed è significativo come sia stata proprio la scrittura a svelare questa verità sepolta e a riportarla a galla, infine, dal fondo di quello stagno. Se questo romanzo si conclude con la breve, lapidaria frase «In seguito non è successo più niente», questo “niente” è da intendere solo come un fermo momentaneo, una pausa necessaria della ricerca, che torna invece a farsi di nuovo potente in altri romanzi che rileggono, con la stessa profondità, altre fasi della sua vita. Così, in Stupore e tremori Amélie Nothomb rivive un’esperienza lavorativa in Giappone che si è rivelata particolarmente dura, ma che l’ha portata ad avvertire finalmente la vocazione alla scrittura.

Ma la scrittura non è solo scavo nella memoria, non è solo riflessione filosofica ed esistenziale: il viaggio interiore che si compie in ogni romanzo autobiografico è, insieme, ricerca e narrazione. La scrittrice non si limita, infatti, solamente a recuperare e a riguardare da un diverso punto di vista gli eventi chiave della sua vita, bensì li inserisce all’interno di un lavoro di storytelling dell’Anima, in cui la materia del racconto si unisce perfettamente al saper raccontare. Cogliere l’essenza e l’importanza di ogni momento, collocarlo in un orizzonte specifico e in precisa relazione con il resto: è proprio questo che permette alla scrittura di svolgere il suo ruolo supremo di ricomposizione. Ogni episodio non è fine a se stesso, ma legato indissolubilmente al prima e al dopo, nel costruire un’identità data proprio dall’insieme di tutti i singoli elementi.

Particolarmente in Stupore e tremore, è possibile allora cogliere, accanto alla ricerca, lo svilupparsi di una narrazione che segue le linee tracciate dallo schema chiave dello storytelling e del viaggio dell’eroe. La protagonista vive il suo conflitto con il mondo ordinario (la realtà in parte estranea dell’Oriente), affronta la sua avventura, con le sue prove e le sue sfide, nel contesto lavorativo, e infine ottiene la ricompensa insperata esattamente nel momento più basso del suo percorso. Impiegata come traduttrice, si ritrova sempre più retrocessa nella sua posizione all’interno dell’azienda fino ad assumere il compito di guardiana dei servizi igienici. Tuttavia, è proprio lì che scopre qualcosa di inaspettato che le cambierà la vita: il piacere di contemplare la città dalla finestra del quarantatreesimo piano, quella finestra che si caratterizza come «la frontiera tra lo sciacquone e il cielo, tra i gabinetti e l’infinito». Guardare la città le spalanca uno scenario inedito che la riscatta dal lavoro monotono e ripetitivo, elevandola oltre la soffocante catena gerarchica lavorativa e portandola alla consapevolezza che: «Finché esisteranno finestre l’essere umano più umile della terra avrà la sua parte di libertà».

Amélie riesce a resistere nell’azienda fino al termine del contratto, come si era prefissata, ma soprattutto scopre la vocazione alla scrittura, vera ricompensa per l’eroina. È dunque narrato il momento di inizio del futuro (come scrittrice), un futuro che però la risospingerà sempre all’indietro, verso la rielaborazione del passato, verso la ricerca e la narrazione del sé.

Riferimenti bibliografici

A. Nothomb, Metafisica dei tubi, Voland, Roma, 2002.

A. Nothomb, Stupore e tremori, Voland, Roma, 2000.

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