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Paul Auster “Trilogia di New York”: alla ricerca dell’Identità

Paul Auster “Trilogia di New York”: alla ricerca dell’Identità

La storia non è nelle parole: è nella lotta.

Paul Auster

Smarrimento della propria identità, intrinseca solitudine, profondità introspettiva e ricerca dell’autentico Sé: questi sono solo alcuni dei temi principali che punteggiano i romanzi del noto scrittore americano Paul Auster. Un titolo che vale come esempio è senz’altro la Trilogia di New York, opera che ne comprende al suo interno altre tre significative intrecciate tra loro: Città di vetro, Fantasmi e La stanza chiusa.

Paul Auster Trilogia di New York

Le tre trame, oltre a condividere lo sfondo di New York, ruotano tutte attorno a una missione precisa, grazie alla quale i protagonisti vengono risvegliati dalla loro realtà quotidiana per intraprendere una ricerca dagli esiti inaspettati che li riguarda personalmente molto più di quanto avevano previsto, tanto da ri-orientare completamente il senso stesso della missione. Ciò si evince, ad esempio, nell’evoluzione interiore del detective Blue in Fantasmi, durante la sua attività di sorveglianza dell’ignoto signor Black:

Non si è mai occupato granché del proprio mondo interiore, della cui esistenza era cosciente, ma come fosse un’identità ignota, inesplorata e pertanto oscura anche a lui. […] E ora all’improvviso, col mondo come alienato da lui, senza nient’altro da vedere che un’ombra vaga di nome Black, si concentra su cose che non gli erano mai venute in mente, e anche questo incomincia a dargli angoscia. […] Perché spiando Black nella casa dirimpetto è come se Blue guardasse in uno specchio, e capisce che invece di osservare solo un’altra persona sta osservando anche se stesso.

Il mondo, che pure è sempre lo stesso, sembra apparire in modo diverso, svelare una profondità inedita, al punto che le parole ordinarie appaiono ad un tratto insufficienti a descrivere una simile esperienza che, in fondo, nasce dall’interno. Dallo scrittore Quinn che si finge investigatore per puro gioco, fino al giovane articolista chiamato a conoscere gli scritti segreti (e la vita) del suo amico d’infanzia scomparso, le parole chiave ricorrenti sono indagine e scrittura, intese in modo complementare e indistricabile.

Sì, perché la riflessione sul significato e sull’utilizzo del linguaggio ha un ruolo di primo piano nei pensieri dei protagonisti, soprattutto nella forma scritta, mezzo privilegiato attraverso cui l’analisi introspettiva e il cambiamento di sguardo sul mondo possono giungere a una elaborazione sempre più ricca, completa e matura.

Le parole talvolta non funzionano – è questa la scoperta a cui approdano i differenti protagonisti –, ma è proprio in quei momenti che scrivere diventa essenziale, per riempire le parole di un nuovo significato, per tentare di tradurre in modo concreto sensazioni, o addirittura rivelazioni, che altrimenti sarebbero destinate a restare inespresse.

Non è, allora, un caso, che tutti i protagonisti, nel corso della loro missione, tengano traccia di ogni piccolo cambiamento su un taccuino. È, infatti, il taccuino a rendere testimonianza del mutare di segno del corso dell’indagine, non più rivolta unicamente alla persona da controllare o scoprire, ma anche e forse soprattutto all’interno di se stessi e al mondo circostante, che per la prima volta sembra schiudersi in modo del tutto nuovo e insospettabile. Tanto è vero per Blue di Fantasmi, quanto per Quinn di Città di vetro:

Per la prima volta da quando aveva comprato il taccuino rosso, ciò che scrisse quel giorno non aveva niente a che fare con il caso Stillman. Viceversa, si concentrò sulle cose che aveva visto mentre camminava. Non si fermò a riflettere su quello che stava facendo, né ad analizzare le possibili implicanze del suo atto inconsueto. Era ansioso di registrare alcuni fatti, e volle metterli nero su bianco prima di dimenticarli.

Non solo asettici appunti sul caso lavorativo, dunque: mediante la Scrittura, i personaggi passano a focalizzarsi su tutto ciò che viene vissuto, in prima persona o soltanto da spettatore passivo, e sui dettagli, anche quelli apparentemente più banali, che siano capaci di suscitare una riflessione profonda, di appellare l’Anima direttamente e aprire un solco nel suo mistero inaccessibile. Tale cambiamento che dapprima appare un “atto inconsueto” finisce per diventare, man mano, insostituibile, necessario. Scrivere si rivela allora un mezzo per conoscere e ancor più per conoscer-si, al punto da sembrare «come se la distanza tra vista e scrittura si fosse ridotta, e i due atti coincidessero, appartenessero a un unico gesto interrotto».

Paul Auster Moon Palace

Inoltre, attraverso la Scrittura, i dettagli forniti dall’esperienza del mondo esterno vengono a fluire non solo insieme ai ricordi personali lontani ma mai perduti, ma anche con gli elementi mitici e primordiali rintracciabili in ogni vita. L’autobiografia si fonda così sottilmente con la mitobiografia mediante la comparsa di immagini altamente simboliche come quella della Torre di Babele, icona della perdita del linguaggio originario innocente, e quella della metafora tratta da Lewis Carroll dell’uomo come uovo, in quanto «puro potenziale, un esempio del non-pervenuto-ancora».

Alla luce delle tematiche toccate, non è un caso che l’attività di investigatore e quella di scrittore vengano costantemente a sovrapporsi nei romanzi della Trilogia, così come non è soltanto un vezzo la presenza di Paul Auster come personaggio vero e proprio, e non soltanto come autore esterno. L’introspezione – dell’autore, del personaggio, del lettore, dell’umanità intera – diventa la chiave di volta per modificare interamente una vita, sbarazzarsi della propria caduca, illusoria identità, e tentare di conoscersi davvero, a fondo, come Anima. E la Scrittura, come forza propulsiva di questa ricerca interiore, appare quasi investita da un’aura di sacralità:

Non l’aveva mai fatto prima, ma in quel momento, chissà perché, gli sembrava giusto essere nudo. Restò seduto venti o trenta secondi cercando di non muoversi, di non far niente salvo respirare. Poi aprì il taccuino rosso. Prese la penna e scrisse le proprie iniziali, D. Q. (cioè Daniel Quinn) in prima pagina. Era da più di cinque anni che non firmava un taccuino con il suo vero nome.

Tuttavia, la potenza della Scrittura non si ferma alla registrazione immediata delle sensazioni, ma si completa nella rielaborazione successiva, ultima, dello scrittore che si guarda indietro e dona un senso unico al vissuto, scegliendo la prospettiva più adeguata:

In sostanza le tre storie sono una storia sola, ma ognuna rappresenta un diverso stadio della mia consapevolezza di essa. […] Voglio solo segnalare che venne un momento in cui guardare ciò che era successo cessò di spaventarmi. Se le parole seguirono, fu unicamente perché non avevo altra scelta che accettarle, addossarmele e andare dove mi portavano.

Riferimenti bibliografici:

Paul Auster, Trilogia di New York, Einaudi, Torino, 2014.

-, 4 3 2 1, Einaudi, Torino, 2019.

-, L’invenzione della solitudine, Einaudi, Torino, 2015.

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