Non c’è fuori-testo.
Jacques Derrida
Si può dire che tutta l’opera di Jacques Derrida sia il tentativo di decostruire una struttura classica della tradizione filosofica: il fono-centrismo. Da Platone ad Hegel, fino a Saussure, secondo Derrida, vige la medesima condanna per la scrittura, a favore dell’elezione della Voce e della phonē, come cardine assoluto del pensiero e della filosofia.
Con la decostruzione, Derrida ha permesso l’irrompere della Diffèrance e della scrittura là dove si affermava il privilegio della Presenza, della Linea e della Phonē.
Ciò che emerge chiaramente dal tessuto argomentativo di questo autore è di voler pensare il logos come originariamente affetto dall’Altro, condizionato da ciò che metafisicamente è stato definito come l’esteriorità, la sensibilità, ma ancora più precisamente la tecnica. In effetti la storia della scrittura è la storia della tecnica: «pensiamo al contrario che un certo tipo di interrogazione sul senso e l’origine della scrittura preceda o almeno si confonda con un certo tipo di interrogazione sul senso e l’origine della tecnica» (De La Grammatologia).
La relazione tra il logos e la scrittura è la relazione tra il linguaggio e la tecnica. Il paleo-antropologo André Leroi-Gourhan dedica la sua opera più importante, Il gesto e la parola, a questo parallelismo tra linguaggio e tecnica, alla loro storia sempre intrecciata e reciprocamente condizionata a partire dall’origine gestuale del linguaggio. Secondo lui, l’uomo ha potuto sviluppare la capacità di articolazione fonetica solo grazie alla liberazione della faccia da compiti di trasporto e con l’acquisizione della posizione retta la quale ha permesso lo sviluppo delle reti neuronali nel lobo frontale. Contestualmente, le mani sono diventate il punto di contatto con ciò che iniziava a diventare “oggetto” e poco dopo “utensile”. La necessità tecnica di interagire e di dominare l’ambiente circostante attraverso la mano corrispose alla necessità di nominare l’“oggetto-afferrato”, ovvero di creare il conceptus. Il linguaggio è quindi una risposta strumentale all’incontro con il mondo, all’aprirsi della possibilità degli oggetti.
Lo sviluppo tecnico e lo sviluppo linguistico, poi, continuano a correre fianco a fianco per tutta la storia dell’uomo. Lo sviluppo della scrittura lineare, fonetico-alfabetica risulta infatti il principale motore per lo sviluppo economico-industriale dell’uomo occidentale. Questa si sostituisce gradualmente, in tutte le culture, al “Mitogramma”. Il Mitogramma è la forma archetipale e più arcaica di scrittura. Essa si connotava per la pluridimensionalità dei suoi simboli, i quali attraverso la raffigurazione pittografica si costituivano a partire dalla riproducibilità del visibile, ancora iscritti in un’atmosfera mitica del rapporto uomo-mondo. La scrittura del Mitogramma in epoca paleolitica, si costituiva come coincidenza tra Arte, Scrittura e Tecnica, possibile grazie ad una non ancora sopraggiunta razionalizzazione della realtà.
Il passaggio alla scrittura lineare corrispose quindi alla drastica semplificazione delle immagini figurative del mitogramma. Sempre più concise e linearizzate, queste persero la loro connotazione mitografica e il loro contatto con la vista, andandosi ad appiattire sul significante linguistico e vocale.
«La semplificazione delle figure, determinata dal carattere poco monumentale e provvisorio dei documenti, è stata la causa prima del loro progressivo distacco dal contesto che materialmente evocavano; da simboli, quali erano, con implicazioni estensibili, sono diventate segni, veri e propri utensili al servizio di una memoria in cui s’introduce il rigore contabile». Precedentemente all’urbanizzazione e finanche alla sedentarizzazione, quindi, la scrittura simbolico-mitogrammatica esprimeva un’unità auratica del cielo e della terra, dell’uomo e della natura, la cui espressività non standardizzata implicava un’interpretazione multidimensionale e multidisciplinare dell’immagine” (A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola).
Negli Antropiani primitivi c’è una separazione (dopo l’originaria unità) tra la mano e la faccia, la prima si specializza nell’impiego di utensili e nella gesticolazione, la seconda nella fonazione. Con la scrittura del MitoGramma si ristabilisce un parallelismo in cui la mano ha il suo linguaggio in rapporto alla visione e la faccia ha il suo in rapporto all’audizione. In qualche modo: «il gesto interpreta la parola, questa commenta il grafismo». (Il gesto e la parola)
Con il grafismo lineare e fonetico il linguaggio scritto viene subordinato totalmente al linguaggio verbale-fonetico-lineare. È l’inizio di ciò che Derrida chiama Fono-Centrismo.
Derrida, soprattutto in Della Grammatologia, recupera le acquisizioni paleoantropologiche di Leroi-Gourhan, al fine di sottolineare come nella storia dell’uomo vi sia stata una decadenza da una forma di scrittura MitoGrafica – che unificava l’Uomo con il Mondo, nell’armonia tra corpo, anima e ambiente – ad una corrotta scrittura fono-centrica basata sul segno e sulla razionalità.
La decostruzione deve agire sui testi della nostra tradizione al fine di poter recuperare una Scrittura Originaria, una Scrittura Mitica, presso la quale l’Uomo può ritrovare l’equilibrio perduto con il proprio Sé e con il Mondo.
All’origine ancestrale della nostra specie, come dimostrato dalla paleoantropologia, vi è una forma di scrittura olistica che esalta, sintetizzando, l’Anima umana con la Natura. Tutti i sensi sono coinvolti nel MitoGramma e non vi è separazione tra esteriorità e interiorità dell’Anima. Ritrovare l’Unità Originaria tra Anima e Mondo è quindi l’obbiettivo della decostruzione, che scava sotto i privilegi ontologici della phonè razionalistica per liberare il potenziale MitoGrammatologico dell’esperienza umana ancestrale.
Se i nostri antenati vivevano in un’armonia celeste-terrestre grazie all’impiego di questa forma di scrittura Mitica perché non provare a ritrovare l’inizio ancestrale da cui derivano tutte le forme del nostro linguaggio?
Come sostiene anche W. Benjamin (Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo, 1916), il mito della torre di Babele rappresenta una corruzione realmente avvenuta nella storia del linguaggio umano. Da un’unità Mitica originaria si è passati, prima al linguaggio della Rappresentazione e del Simbolo fonetico-alfabetico e poi alla diaspora delle diverse lingue locali.
La decadenza spirituale del nostro linguaggio potrà essere reversibile?
Sarà possibile tornare a quel mitico inizio dove il MitoGramma era la via d’accesso diretta per l’Anima al cuore della Natura?
Tutti i pensieri filosofici pongono delle domande per aprire delle strade inesplorate alla vita pratica dell’uomo. Allo stesso modo ha tentato di fare Jacques Derrida. Ognuno di noi dovrà poi saper interpretare il suo lascito e percorrere il proprio Viaggio di ritorno verso l’Archetipale origine del MitoGramma.
Riferimenti bibliografici
J. Derrida, Della grammatologia, Milano, Jaca Book, 1989.
J. Derrida, La scrittura e la differenza, Torino, Einaudi, 1971.
J. Derrida, Sulla parola. Istantanee filosofiche, Milano, Nottetempo, 2004.
J. Derrida, La farmacia di Platone, Milano, Jaca Book, 2007.