[email protected]                        ScritturAnima | ACADEMY

agsdi-message-2
ScritturAnima | ACADEMY

María Zambrano: la FiloSophia e la ragione poetica

María Zambrano: la FiloSophia e la ragione poetica

O sacro essere! Turbato ho l’aurea

tua divina quiete, e del più occulto

più cupo dolore della vita molto appreso tu hai da me.

F. Hölderlin

María Zambrano, nelle sue opere, ha sempre posto l’accento sull’intreccio inestricabile fra vita e pensiero. Questo legame non è da intendersi solamente nel suo senso più immediato, ossia il pensiero di un autore o di un’autrice che riflette sulla sua storia di vita; ma, in questo caso, si tratta di un nesso molto più forte: secondo la filosofa di Málaga, il pensiero ha il compito di recuperare il suo essenziale rapporto con la vita e di essere ad essa aderente. Dobbiamo insomma recuperare l’idea di «un pensiero appassionato, in cui pensare ed essere vivente si convertono in una stessa cosa»[1]. Nelle prossime righe, cercheremo allora di accostare alla storia di vita di María Zambrano alcuni tratti caratteristici del suo pensiero, nella speranza di essere fedeli a quest’essenziale nesso fra vita e pensiero.

In una calda giornata di primavera del 1904, a Málaga, in una casa impreziosita dal profumo inebriante di un albero di limoni in fiore, venne alla luce María Zambrano. La nascita rappresenta per la filosofa una categoria filosofica importante: l’esser-gettato dell’uomo nel mondo dal momento della sua nascita, la dimensione esistenziale in cui l’essere umano si trova, lo porta a dover rinascere continuamente, ossia costruire un mondo fatto di vita e pensiero, scrittura e passioni, filosofia e poesia. Alla prima nascita biologica, come quella di María accanto al giallo dei limoni, se ne accompagna una seconda: l’essere umano, consapevole della propria incompletezza e gettatezza, deve concludere la propria nascita, crearsi il proprio mondo e trascendersi in un movimento incessante di oltrepassamento di sé e costruzione della propria realtà.

Maria Zambrano Verso il sapere dellanima ScritturAnima

Nel 1924, María Zambrano si trasferisce a Madrid per studiare. Studentessa appassionata, divora un libro dopo l’altro, e comincia a sviluppare un grande interesse filosofico; in particolare, attraverso i corsi di Josè Ortega y Gasset, si appassiona alla metafisica. È timida e solitaria, vive nel mondo di pensieri che libri e cultura le garantiscono, allontanandola dalla solitudine. Il superamento di quest’ultima avviene per motivi politici: nel 1928 Zambrano si unisce ad un gruppo di studenti e intellettuali di ideali repubblicani e in opposizione al generale Primo de Rivera. Il valore che la filosofa attribuirà all’altro all’interno del suo pensiero non è casuale. La scoperta dell’altro, del “noi”, come costitutivo di ogni sé costituisce una delle sue critiche al pensiero occidentale. Se quest’ultimo si è tradizionalmente sviluppato attorno allo sforzo di definire un soggetto pensante che impone il suo sé e i suoi assoluti in un mondo fatto di cose ridotte a strumenti, il compito del pensiero, secondo María Zambrano, è ora ricomporre un pensiero che aderisca alla vita in quanto tale e non ad una sua presunta pura astrazione. Questo sforzo si traduce da una parte nella considerazione del ruolo del corpo e delle passioni come parti imprescindibili della vita e, di conseguenza, non trascurabili da un pensiero che voglia abbracciare la realtà nella sua totalità e nelle sue differenze. Dall’altra, l’altro assume un compito fondamentale: proprio attraverso la riabilitazione del sentimento è possibile restituire all’altro, all’oggetto o al soggetto che ci sta di fronte il suo statuto, la sua alterità limitando così lo sfacciato predominio del soggetto.

Al concludersi della guerra civile spagnola, María e la sua famiglia sono costretti, in quanto appartenenti allo schieramento sconfitto, quello repubblicano, ad emigrare. Camminano attraverso i Pirenei, portandosi dietro il ricordo del padre defunto e la speranza in un futuro migliore. La scrittura, la poesia e la filosofia in questi anni accompagnano la filosofa come uno specchio, sempre presenti nel delineare i suoi pensieri e nell’agire sul mondo. Zambrano si sposta tanto e il viaggio resterà un elemento caratteristico della sua vita e del suo pensiero. Infine, si stabilisce a Cuba dove insegna all’università. Riuscirà a tornare in Europa solo nel ’46, quando rivedrà la sorella, Arceli, rimasta nel frattempo a Parigi, ma non riuscirà a vedere sua madre, morta qualche giorno prima del suo rientro. Arceli è distrutta dalla guerra, come l’Europa intera. Le due restano un po’ a Parigi, poi tornano a Cuba e infine si stabiliscono a Roma. María decide di prendersi cura della sorella. Ormai la loro patria è l’esilio. A Roma, le sue attività sono curare la sorella e scrivere; la scrittura è un’attività che non la abbandona mai. Poi le due sorelle si trasferiscono in Svizzera, ma Arceli è sempre più malata e, infine, muore provocando a María un dolore terribile. La scrittura rappresenta l’unico rifugio al dolore, Marìa scrive, non smette mai di scrivere. Un’altra salvezza è rappresentata dagli alberi, dai boschi, in particolare dai chiari di bosco. Sono luoghi di quiete misteriosa, «sono i nuclei notturni del senso che precede e anticipa il logos; sono il mezzo attraverso cui si palesa ogni rivelazione; sono il centro vivificante di ogni energia; a loro ci si avvicina a piccoli passi silenziosi fra gli alberi, in punta di piedi, immersi nel silenzio»[2]

Maria Zambrano Chiari del bosco 1

Nel 1984, María Zambrano, dopo quasi cinquant’anni di esilio, rientra in Spagna e la sua affermazione, dopo tutta una vita trascorsa a viaggiare, è “non sono mai stata via”. L’esilio non è solo qualcosa che ha caratterizzato in modo decisivo la vita della filosofa, ma è anche un nucleo fondante del suo pensiero. L’esilio, oltre che un dato storico, è una condizione ontologica: l’uomo, nel suo essere-gettato, è in esilio rispetto ad una patria di senso, ricerca continuamente una nascita spirituale che gli consenta di ambientarsi nel mondo ostile, di dargli senso. Poesia e pensiero sono attori decisivi nella costruzione di una patria spirituale di cui siamo costantemente alla ricerca. Ma è proprio l’impossibilità che questa ricerca si concluda che deve essere vista come positiva, come perenne generazione di sensi.

Zambrano critica la razón pura cartesiana e illuminista, che considera troppo astratta e distante dall’esperienza umana concreta. Propone al suo posto una “ragione poetica”, una modalità di conoscenza che si avvale dell’intuizione, del simbolo e della sensibilità. Per Zambrano, la filosofia non deve limitarsi al pensiero analitico, ma integrarsi con il poetico per cogliere il senso profondo dell’essere e della vita. La verità non sta nella chiarezza illuministica e analitica della ragione pura, ma si trova anche nell’ombra, nel non trovare soluzione, nella ricerca. Nell’ombra della caverna si nasconde parte della verità, quella passionale, carnale, troppo spesso dimenticata dalla filosofia nella sua angoscia assolutizzante e totalizzante. Contro questa, una ragione poetica, che si avvalga della capacità della poesia di esser fedele al concreto e alla diversità, è l’unica via per recuperare l’amore per la vita nella sua complessità.

Maria Zambrano Poesia e Filosofia

La filosofia occidentale ha tradizionalmente risposto all’essere gettato dell’uomo nel mondo, al suo perenne divenire e svanire, attraverso una ragione pura che fissasse delle costanti astratte nell’esistenza umana; ha creato sistemi e costruito un soggetto puramente razionale che si rapportasse al mondo come ad un insieme di oggetti e strumenti da dominare e conoscere. Il predominio del logos ha portato ad un distacco dalla realtà nella sua complessità ed eterogeneità, ad un abbandono dell’esistenza concreta.

Secondo Zambrano la filosofia deve recuperare il proprio legame con l’esistenza, con la concretezza poiché la verità non è solo chiarezza ma, nel senso greco di a-letheia, si presenta come disvelamento, come un venire dal buio, dagli abissi della caverna abbandonata da Platone. La verità risiede anche in questa oscurità, nel nascondimento, così come negli aspetti corporei e passionali della vita. Il pensiero deve fare da guida alla vita, deve recuperare il suo rapporto con essa, e la vita, nella sua complessità e molteplicità, non comprende solo la razionalità pura e analitica, ma anche le passioni, la carnalità, il buio.

Questi aspetti dell’esistenza, ignorati ed esclusi per secoli dalla filosofia, si sono invece mantenuti nella poesia che li ha custoditi, accolti. Ecco allora perché per María Zambrano è necessario che la ragione si faccia ragione poetica, che il pensiero si riconnetta alla poesia. In questo modo diventa possibile un pensiero realista e materialista, ossia in grado di trattare con gli oggetti non nella forma del dominio da parte del soggetto tipico della ragione filosofica tradizionale, senza la violenza del possesso, bensì secondo la modalità della passione e dell’innamoramento in cui il soggetto e le cose compartecipano, si relazionano vicendevolmente. Questo significa accogliere l’altro da sé – inteso sia in senso oggettuale che intersoggettivo – e, al contempo, accettare l’estraneità, l’incompletezza.

Se la filosofia ha sempre cercato di escludere, sotto il velo della limpidezza della ragione, tutto ciò che è estraneo, sconosciuto, incompleto, la ragione poetica e riformata accetta la complessità della realtà e, di conseguenza, il fatto che essa non sia totalmente dominabile e comprensibile, ma che l’incompletezza e l’oscurità facciano parte della realtà, e che questa sia la sacralità della realtà. Inoltre, l’oscurità non appartiene solo al reale, ma anche all’essere umano. Zambrano si sofferma sulla categoria della nascita. L’essere umano, nascendo, viene alla luce provenendo da uno sfondo d’ombra, l’abisso è la sua culla, è sua parte essenziale. Ma la nascita non si conclude con il primo venire al mondo: l’essere umano, proprio in quanto gettato nel mondo, è continuamente nascente; egli è incompleto e cerca continuamente di colmare questa mancanza oltrepassandosi, trascendendosi. Zambrano definisce l’uomo come «quell’essere che patisce la propria trascendenza».

L’impossibilità di colmare questa mancanza, di smettere di trascendersi, non è da rigettare, ma rappresenta, invece, la sacralità della realtà, il movimento costante e senza tregua dell’esistenza umana. Il pensiero deve guidare tale vita, accoglierne la complessità, la tragicità e le oscurità, per accostarsi ad esse; deve essere un metodo per accompagnare l’esperienza, non un’astratta universalizzazione che si distacchi dal mondo e dall’esistenza individuale. La ragione poetica aiuta l’essere umano a costituire un’unità che non escluda le differenze che non riesce a comprendere in sé, ma che accolga l’unità proprio in quanto molteplicità. Questa è la sacralità della realtà, questo è l’amore poetico per un reale oscuro e dilaniato dalle differenze, ma, proprio per questo, sacro.

Riferimenti bibliografici

M. Latini, La filosofia coma cammino di vita in María Zambrano, Dialegesthai 2003

N. Terranova, Non sono mai stata via. Vita in esilio di María Zambrano, Rueballu, Palermo 2020

M. Zambrano, Filosofia e poesia, Edizioni Pendragon, Bologna 2002.

  1. Hanna Arendt, Heidegger o il pensiero come attività pura, citato in P. Terenzi, Hanna Arendt: il senso comune e l’inizio della filosofia, Leonardo da Vinci, Roma 1999.

  2. N. Terranova, Non sono mai stata via. Vita in esilio di María Zambrano, Palermo 2020.


ARTICOLI CORRELATI

Continua la Lettura

error: Tutto il contenuto scritto in questo sito è protetto da ©copyright!!