Grande è coglier l’eterno, ma è più grande cose riavere il transeunte, dopo averne fatta rinuncia.
Søren Kierkegaard
Passeggiavo con due amici quando il sole tramontò. Il cielo divenne all’improvviso di un rosso sangue. Io mi fermai, mi appoggiai stremato ad un parapetto. Il fiordo di un nero cupo, bluastro, e la città erano inondate di sangue e devastate dalle fiamme. I miei amici proseguirono il cammino, mentre io, tremando ancora per l’angoscia, sentii che un grido senza fine attraversava la natura.
Così Edvard Munch descrive le sensazioni che lo hanno portato a dipingere L’urlo, quadro che, nelle sue diverse versioni, era destinato a diventare simbolo dell’angoscia esistenziale. Questo breve racconto di Munch raccoglie molto più che un’importante testimonianza scritta del processo creativo, in esso è racchiuso quell’immenso intreccio di realtà e interiorità, mondo esterno, apparentemente sano, e mondo interno, angosciato fino alla follia. In questa frase emerge l’esigenza di un’arte che cessi di essere fedele imitazione delle bellezze della natura o delle apparenze borghesi, che smetta di limitarsi alle prime impressioni che scavi al fondo della propria interiorità per scoprirne lo specchio di una società a sua volta tormentata e dilaniata da contraddizioni.
La vita di Munch non facilita una visione candida e incontaminata del reale: da subito la sua infanzia norvegese è caratterizzata dall’incombente presenza della morte e della malattia, fisica e psichica. La madre e la sorella Johanne muoiono presto ed Edvard cresce in un ambiente dominato dallo spettro della morte e dalla macabra depressione del padre. Sono proprio le vicende biografiche che spingono forse Munch a portare all’estremo la sua formazione impressionista e fare dell’arte un modo per raccontare i turbamenti del proprio animo. Le frequentazioni parigine e il simbolismo di Gauguin, così come le opere di Ibsen hanno un’influenza importante nella maturazione dell’opera di Munch, tra simbolismo ed espressionismo nascente. In opposizione al positivismo imperante, accompagnato nella sua cieca fede nel progresso, alcuni artisti di questo tempo colgono le contraddizioni della vita borghese e di una morale vuota ed esteriore.
E qui vediamo uno dei numerosi punti di contatto tra l’arte di Munch e la filosofia di Kierkegaard. Nel pensiero di quest’ultimo è forte l’opposizione alla filosofia impersonale di Hegel e ad una morale collettiva ed esteriore che rischia di svuotarsi del peso dell’esistenza. Contro questa tendenza, che è poi quella della vita borghese, Kierkegaard sottolinea tutta la portata di un’etica individuale, che pesa sulla scelta e la responsabilità del singolo individuo, rappresentato per eccellenza dalla figura di Abramo, costretto dal comando divino a compiere la scelta più difficile, ossia quella dell’uccisione del figlio. La filosofia deve farsi soggettiva e considerare le scelte di vita individuali in tutta la loro portata. Ecco che all’attenzione per l’esistenza concreta e soggettiva si accompagna allora la presa di consapevolezza dell’angoscia e della sofferenza che quest’esistenza comporta. Così in Munch non si tratta solo di esprimere in arte il proprio stato d’animo, di porre l’attenzione sul proprio sé individuale, ma soprattutto di constatare come questo sé sia dilaniato da una vita che non concede tregua dalla sofferenza, dalla morte e dall’assenza di senso. Kierkegaard trova rifugio in una fede che, come il comando di Dio ad Abramo, si fa poi portatrice di senso; allo stesso modo, Munch, pur non trovando un senso all’esistenza, trova nell’arte la possibilità di dar sfogo a questa angoscia. E allora L’urlo è il grido di quest’angoscia esistenziale e psichica che non riguarda solo l’artista che la prova, ma che coinvolge tutto il mondo circostante le cui linee geometriche vengono deformate in un flusso cromatico che comprende personaggio e paesaggio e che esclude solo i passanti indifferenti e inconsapevoli della pervasività di un’angoscia che affligge in realtà anche loro. La massa come per Kierkegaard è folle portatrice di falsità così nel quadro Sera sul viale Karl Johan i passanti esplicitano la propria indifferenza.
Rispetto a questa massa, l’individuo si chiude in se stesso, nella propria solitudine; scrive Kierkegaard: «La mia anima è così pesante che nessun pensiero è capace di portarla, nessun colpo d’ala può sollevarla verso l’etere. Se essa si muove, non riesce che a sfiorare la terra, come il volo basso degli uccelli quando minaccia l’uragano. Sulla mia anima incombe un’oppressione greve, un’angoscia che fa presentire il terremoto» (da Aut-Aut). E sembra di vedere l’uragano che minaccia nel cielo catastrofico de L’urlo, in quell’arancione apocalittico.
Il costante tentativo sociale di mascherare, come i volti-maschera di Munch, una realtà sempre più dilaniata non è cessato nel nostro tempo, ma è anzi sempre più vivida la contraddizione tra un’apparente serenità collettiva e superficiale e una crescente crisi esistenziale che ci ritroviamo ad affrontare da soli, nel quotidiano urlo che accompagna i nostri volti ingrigiti e deformati come quello del protagonista de L’urlo. L’urlo è del mondo, oltre che del nostro stato d’animo, eppure solo nel singolo si riflette, dando seguito all’ossimorico grido muto, incapace di farsi udire al di fuori di sé. Scrive Munch: «Vedo tutti gli uomini dietro le loro maschere, volti sorridenti, quieti, pallidi cadaveri che si affrettano frenetici [lungo] una strada tortuosa il cui termine è la tomba». Non ci resta che divenire consapevoli del nostro dolore e tentare una via per accettarlo sia in senso sociale che individuale; come dolore dell’Io e del mondo, del sé e dell’altro allo stesso modo. Le seguenti parole di Kierkegaard riflettono tutta l’angoscia e la solitudine dell’urlo muto di Munch:
«Tutta l’esistenza mi angustia, dal più piccolo moscerino ai misteri dell’Incarnazione: tutto mi riesce inspiegabile, me stesso soprattutto; tutta la vita mi è una peste, me stesso soprattutto. Vasto è il mio dolore, non conosce confini; nessuno lo conosce se non Dio nel cielo, ed Egli non vuol consolarmi».
Riferimenti bibliografici
Edvard Munch, Frammenti sull’arte, a cura di Marco Alessandrini, Abscondita, Milano, 2022.
Edvard Munch, Alpha e Omega e altri scritti, a cura di Marco Alessandrini, Abscondita, Milano, 2024.
Edvard Munch, La danza della vita. La mia arte raccontata da me, traduzione a cura di Ingrid Basso, Donzelli, Roma, 2022.