Denn das Schöne ist nichts Als des Schrecklichen Anfang, den wir noch grade entragen, und wir bewundern es so, weil es gelassen verschmäht, uns zu zerstören. Ein jeder Engelist schrecklich.
Poichè del terribile il bello Non è che il principio, che ancora noi sopportiamo, e lo ammiriamo così, chè quieto disdegna di annientarci. Ogni angelo è tremendo.
Rainer Maria Rilke, “La prima elegia”
Il bello non è che il terribile al suo principio. Questi versi di Rilke esprimono il profondo legame che unisce, da sempre, bellezza e oscurità, arte e tenebre. Anche l’opera di Mark Rothko, sotto l’intreccio di colori che potrebbero provocare una sensazione di quiete contemplativa nello spettatore, riflette in realtà – come lui stesso ha sottolineato – tutta la tragicità e la lacerazione dell’atto artistico, della vita dell’artista e dell’esistenza stessa in generale.
Mark Rothko, pseudonimo di Markus Yakovlevich Rothkowitz. Per parlare della biografia di questo personaggio al confine con il mito, è possibile partire proprio da questo pseudonimo. Nella scelta di cambiare nome non sono solo racchiusi motivi di carattere pratico e prettamente artistico, ma è raccolto il sentimento di esilio che ha accompagnato gli anni giovanili di Rothko e la sua intera esistenza. Nato agli albori del secolo scorso (1903), in un piccolo villaggio dell’immensa Russia, di famiglia ebraica e di buona istruzione, Rothko trascorre, insieme ai suoi fratelli, i primi dieci anni di vita nel vecchio continente. L’esilio comincia quando, insieme alla madre e ai fratelli, si trasferiscono a Portland, negli Stati Uniti dove raggiungono il padre e lo zio. Dopo solo un anno dal ricongiungimento con la figura paterna e dall’arrivo in America, Rothko si trova di fronte ad una duplice lacerazione: esiliato dalla patria e privato del padre deceduto. Ecco la frattura che mette radici nell’esistenza di Rothko, quel sentirsi fuori luogo a Portland e nel mondo, la presenza del vuoto che incombe pesante in ogni momento.
Accanto a questo sentimento di frattura interna che accompagna Rothko emergendo più o meno prepotentemente a seconda dei periodi della sua vita, c’è un giovane brillante, non caratterizzato da una particolare bellezza, ma dotato del fascino dell’intelligenza, delle buone capacità oratorie e della fiducia in se stesso. Grazie ad una borsa di studio, si iscrive a Yale dove però, ancora una volta, si sente in esilio, circondato da giovani esuberanti dell’upper class americana e da un antisemitismo imperante. In questi anni emerge l’aspetto polemico e battagliero che accosterà tutto il percorso artistico di Rothko, la cui malinconia intima e profonda non lo porta ad un ulteriore esilio di chiusura in se stesso e rifiuto del mondo, ma sfocia, invece, in un orgoglioso e impetuoso sentimento di battaglia nei confronti della realtà esiliante per cercare di ritagliarsi il proprio spazio.
A Yale, Rothko fonda, insieme ad altri compagni, il The Yale Saturday Evening Pest, in risposta polemica e provocatoria all’antisemitismo dilagante. Nonostante questi battaglieri tentativi di far suo uno spazio estraneo, nel 1923 Rothko lascia Yale, luogo che non ha saputo smentire il suo status di esiliato. Di tornare nella provinciale Portland non se ne parla, così Mark, come tanti giovani, si reca a New York, attratto dalla vivacità e dal fermento intellettuale della grande metropoli, nonché dalla possibilità, da essa offerta, di mettere alla prova la propria capacità di autonoma sussistenza e di vagabondaggio. In uno squallido appartamento in condivisione con un amico aspirante pianista, Rothko naviga nell’universo newyorkese, legge le tragedie greche e Nietzsche, segue le lezioni di Max Weber per sei mesi e, intanto, si avvicina alla pittura, per la quale non ha un innato talento, né una vecchia passione, ma che presto si rivelerà il suo strumento per esistere, per trascendere se stesso e il mondo pur rimanendovi aggrappato, sempre sull’orlo del precipizio. Ostinato nella sua aspirazione di diventare pittore, ma insofferente nei confronti delle autorità, si forma da autodidatta, frequentando gli ateliers newyorkesi, gli artisti contemporanei.
Grazie alla partecipazione all’Opportunity gallery, conosce una nuova figura paterna, Milton Avery, suo padre intellettuale. La luce dei quadri nell’atelier di Avery rimarrà impressa in Rothko e riemergerà nei lavori più tardi, quelli che ne hanno determinato la fama. Nel frattempo, nel 1932 Rothko si sposa con Edith Sacher nella speranza che lei lo accompagni nel suo percorso artistico e lo sostenga. Ma l’arte di Rothko è in questi anni ancora lontana dal successo e questo provoca la frattura all’interno del matrimonio. La “New York School” si sta preparando ad emergere, aiutata da un piano di finanziamento del New Deal, il Federal Art Project, che finanzia gli artisti. Ma, tra Realismo ispirato al socialismo sovietico e richieste politiche dell’Art Project, l’afflato polemico di Rothko gli impedisce una totale aderenza alla storia, nei confronti della quale rivendica, nel celebre Manifesto No Blackout for Art, la libertà dell’atto artistico, la libertà d’espressione che caratterizzano democrazia e modernità e che saranno poi il contrassegno dell’arte americana.
Negli anni Cinquanta, di nuovo Rothko è parte di una polemica che segnerà la storia dell’arte contemporanea, quella contro l’esposizione al Metropolitan portata avanti dai cosiddetti Irascibili, che si scagliano contro l’accademismo e rivendicano la novità di cui la modernità si sta facendo portatrice, attratti dal Surrealismo e dall’arte astratta. Iniziano così gli anni di successo per Rothko, il quale dalla Subway series, in cui ritrae le profondità ctonie della metropolitana newyorkese, compie un processo di risalita dagli Inferi e ascensione verso un’arte prima mitologica e simbolica e poi sempre più astratta, ma non per questo lontana dalla tragicità dell’esistenza.
I celebri Color field paintings, compimento del suo percorso artistico, segnano la massima vicinanza di bellezza e oscurità: i colori si fanno veicolo di una tragicità profonda e intima, delle emozioni umane. La bellezza di questi quadri raccoglie tutta la lacerazione di Rothko e dell’umana esistenza, fino alla Rothko Chapel, grande capolavoro di Rothko, inaugurato postumo. Sì, perché l’acmè artistico rothkiano si compie nel momento della massima tragicità: Rothko, nel 1970, pone fine al suo esilio togliendosi la vita. Ecco la bellezza principio del terribile, il grande capolavoro artistico racchiude in sé il principio della fine, fine di una vita tormentosa e, con essa, fine di un esilio mondano. Forse l’estatica contemplazione cui portano le pareti affrescato della Rothko Chapel al contatto con la luce naturale che su di esse penetra e si scaglia indicano la possibilità di una riconciliazione con quella patria cui l’uomo sempre aspira e che non gli si dà nell’esistenza terrena, nell’esilio del mondo, se non, in quei brevi attimi in cui il colore si mostra nella sua complessità e nei suoi molteplici strati, esaltato dalla luce estatica che l’arte è capace di raccogliere e, subito, di far svanire nel suicidio di un’esistenza esiliata.
Riferimenti bibliografici
Mark Rothko, Scritti, a cura di Alessandra Salvini, Abscondita, Milano, 2019.