L’uomo risveglia sulla scena cosmica il male ch’era sopito in Dio.
Luigi Pareyson
Il pensiero di Luigi Pareyson (1918-1991) rappresenta un punto di svolta e di riferimento fondamentale per la filosofia del Novecento. Come ha sottolineato lo stesso Pareyson nell’Introduzione alla quinta edizione di Esistenza e persona del 1985, la sua produzione può essere suddivisa in tre fasi principali: il personalismo ontologico, l’ontologia dell’inesauribile e l’ontologia della libertà. Vediamo allora alcuni dei temi e dei concetti che caratterizzano lo sviluppo di questo pensiero.
La ricerca di Pareyson – influenzato, tra gli altri, da Kierkegaard, Jaspers e Heidegger – prende le mosse dal confronto con l’esistenzialismo di cui recupera l’attenzione per il finito e per l’esistenza concreta rimodellati in ottica personalistica. In altre parole, finito e infinito non devono più essere visti entro un vincolo necessitante di co-implicazione, tale per cui l’uno implica necessariamente l’altro, ma deve essere invece sottolineata l’autonomia del finito, del concreto e l’incommensurabilità interna al rapporto tra finito e infinito. Affermare questo in ottica personalistica significa dire che la persona storica e finita può essere espressione della verità, apertura ontologica ad un senso inesauribile. Il finito si autonomizza rispetto all’infinito e la persona concreta acquista valore in quanto prospettiva sulla verità, apertura al senso infinito e inesauribile. Solo guardando all’esistenza concreta e alla persona che la abita è possibile incontrare il trascendente perché è in essa che questo si dà o può darsi.
Tuttavia, siccome l’essere e la verità si manifestano nella persona ma non sono mai esauriti in essa, la prospettiva del singolo sulla verità sarà sempre un’interpretazione. Ecco che subentrano i temi ermeneutici e l’ontologia dell’inesauribile. Secondo Luigi Pareyson, della verità non c’è che interpretazione e non c’è interpretazione che della verità. Questo vuol dire che la persona ha il compito di farsi interpretazione della verità pur consapevole che nessun pensiero, nessuna interpretazione esaurirà mai la verità che, in quanto tale, è sempre ulteriore; c’è sempre una portata di senso infinito. Eppure, la verità non può che darsi nell’interpretazione personale, storica e situata. Il pensiero deve quindi farsi rivelativo della verità, farsi filosofia e non rimanere mera espressione della situazione storica concreta.
Questo tema, centrale in Verità e interpretazione del 1971, è molto significativo perché comporta la rivalutazione della persona come prospettiva e apertura sulla verità, il dovere per il pensiero e per il singolo di farsi interpretazione del vero e, di conseguenza, l’affermazione della centralità della libertà: è una questione di scelta e di dovere di scegliere per il vero. Altrimenti, il pensiero si riduce a mera espressione del tempo, a ideologia incapace di dare un apporto al proprio tempo. Se l’essere si dà nella storia, la verità nell’interpretazione, il punto diventa riconoscere questo aspetto, «riconoscere nella storia la presenza dell’essere, e quindi distinguere (…) fra ciò che è solamente storico ed espressivo e ciò ch’è anche ontologico e rivelativo, fra ciò la cui natura e il cui valore si esauriscono nella storicità, e ciò la cui storicità è apertura e tramite all’essere, e quindi sua sede e apparizione»[1]. In ogni interpretazione personale diventa quindi possibile la solidarietà con la verità infinita ed esauribile.
L’accenno a questi temi di fondamentale importanza consente di riprendere brevemente alcuni aspetti dell’estetica pareysoniana, l’estetica della formatività. L’idea esistenzialistica di guardare all’esistenza concreta si traduce, in campo estetico, nella necessità di andare a vedere il procede concreto e lo sviluppo dell’opera d’arte. Come effettivamente lavora l’artista? Quali sono le fasi della creazione dell’opera d’arte? Ecco che Pareyson introduce il concetto di formatività e lo definisce come «un tale fare che, mentre fa, inventa il modo di fare»[2]. L’esperienza estetica nella sua concretezza, il fare artistico si caratterizzano allora per la loro formatività, ossia per il fatto di inventare il modo di fare, la propria regola e il proprio senso nell’atto stesso di fare. Il concetto di forma formante indica «(…) una norma interna all’operare teso alla riuscita; non legge unica per ogni produzione, ma regola immanente d’un singolo processo»[3]. Questo vuol dire che l’artista crea la propria norma e si fa così interpretazione di un senso, di una verità che si dà nella manifestazione concreta dell’opera, ma non si esaurisce in essa. Il processo artistico è allora esemplificazione del rapporto ermeneutico fra interpretazione e verità.
Dopo questa breve ripresa di alcuni dei concetti fondamentali del pensiero di Pareyson, è possibile mettere in evidenza come la sua filosofia dia vita a spunti di grande rilevanza per noi lettori d’oggi. Tra questi possiamo citare l’importanza di fare una scelta che può essere solo personale: scegliere di porsi in relazione con la verità, di farsi interpretazione di essa significa non farsi trasportare passivamente dalla situazione contingente, dal flusso storico e temporale, ma dialogare con la verità consapevoli del fatto che l’ascolto della verità non vuol dire abbandonare l’esistenza concreta, bensì rendersi capaci di modificare questa in virtù del proprio sguardo su ciò che è sempre ulteriore e fonte inesauribile di senso.
Inoltre, l’interpretazione personale della verità non deve essere confusa con soggettivismo e relativismo: la verità non viene piegata secondo le esigenze del singolo e la sua prospettiva, essa resta unica e ulteriore, si dà al singolo ma non si esaurisce mai in esso. È allora fondamentale ricordarsi che nessun pensiero può dire il vero una volta per tutte ed è quindi necessario perpetuare costantemente un dialogo infinito con la verità, memori della sua ulteriorità. Quest’ultima rappresenta allora uno stimolo a dialogare fra noi in virtù della ricerca di senso che sempre ci accompagna.
Riferimenti bibliografici
L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Mursia, Milano 1988.
-, Verità e interpretazione, Mursia, Milano 1971.
-, Prospettive di filosofia contemporanea, Mursia Editore, Milano, 2022.
G. De Candia, Il forse bifronte. L’emergenza della libertà nel pensiero di Dio, Mimesis, Milano 2021.
A. Martinengo, Prospettive sull’ermeneutica dell’immagine, Quodlibet, Macerata 2021.
Francesco Nasini, Il singolo e la verità. Kierkegaard e l’ermeneutica di Luigi Pareyson, Mimesis, Milano, 2023.
Rosaria Longo, L’ abisso della libertà. Ermeneutica e pensiero tragico in Luigi Pareyson, Franco Angeli, Milano, 2000.
1. L.. Pareyson, Verità e interpretazione, Milano 1971. ↑
2. L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Milano 1988, p. 59. ↑
3. Ivi, p. 75. ↑