C’è una cosa che si può trovare in un unico luogo al mondo, lo si può chiamare il compimento dell’esistenza. E il luogo in cui si trova questo tesoro è il luogo in cui ci si trova.
Martin Buber
Dove sei?: è questa la domanda traumatica che sconvolge l’uomo – dal primo uomo, Adamo, fino all’uomo di oggi – costringendolo a gettare la maschera del volontario nascondimento dietro cui ha vissuto fino a quel momento. Ed è proprio da questa domanda che inizia il breve ma illuminante libro di Martin Buber intitolato Il cammino dell’uomo, fonte d’ispirazione anche per Hermann Hesse.
In sei capitoli, Buber affronta il tema sempreverde del ritorno al Sé spirituale attraverso molti insegnamenti di matrice chassidica che offrono un contributo e uno spunto sempre maggiore al discorso intrapreso. “Il cammino dell’uomo” è così esso stesso un cammino, che pagina dopo pagina delinea un percorso preciso – eppure flessibile, perché da plasmare a ogni uomo nella sua specificità –, presentandosi come guida a un’anima errante senza meta.
Il “dove sei?” domandato da Dio ad Adamo, non necessario in quanto il Dio onnisciente conosce la posizione esatta di Adamo, vuole essere in realtà una provocazione a uscire allo scoperto, a riconoscere l’inutilità del proprio inganno e, in definitiva, a palesarsi non davanti a Dio ma prima di tutto a se stesso. Dio sembra dire ad Adamo: Io lo so dove sei, ma tu lo sai?
Dal racconto biblico, Buber trae una similitudine che supera le barriere del tempo, in quanto in quello stesso identico modo “si nasconde ogni uomo perché ogni uomo è Adamo e nella situazione di Adamo”. In effetti, così come Adamo si nasconde da Dio e da se stesso per la vergogna del proprio peccato, così noi ci lasciamo dissolvere nella spersonalizzante società contemporanea, perdendoci nelle materialistiche distrazioni quotidiane e finendo per sopprimere del tutto la flebile voce interiore.
L’uomo contemporaneo, pertanto, spesso vive senza neanche accorgersi della Chiamata – di Dio, dell’Anima – eppure basterebbe soltanto fermarsi e porsi l’interrogativo giusto per riappropriarsi del Sé interiore, perché se la Voce non riesce a farsi udire, siamo noi stessi a dover porgere la domanda. È proprio questo il passo decisivo, quello che segna il limitare tra chi continua a perdersi nell’assordante mondo materiale e chi riesce invece a spingere oltre la patina superficiale e cogliere il soffio di quell’unica salvifica voce. Come afferma Buber, “tutto dipende dal fatto che l’uomo si ponga o no la domanda”.
“Dove sei?” è, quindi, ciò che dobbiamo chiedere noi a noi stessi, avendo il coraggio di rispondere nient’altro che con un’ammissione di colpa, proprio sull’esempio di Adamo: “Mi sono nascosto”. Capire di essersi nascosti e riconoscere di essersi smarriti rappresenta, infatti, l’unico modo autentico per reagire alla provocazione interiore e rivelarsi così spiritualmente pronti per iniziare il cammino.
La domanda corrisponde al punto di partenza, ma in modo triplice anche alla guida da seguire e al contempo al fine: iniziamo a camminare ammettendo di non sapere dove siamo, proseguiamo con l’intento preciso di scoprirlo e miriamo infine a trovare la risposta. Solo se si traduce in un viaggio iniziatico la domanda si rivela autentica e propositiva, per questo Buber intima di diffidare da quella che è la falsa domanda demoniaca. Essa è particolarmente subdola in quanto ha la forma dello stesso interrogativo ma, invece di schiudere all’uomo nuove prospettive e speranze, oscura ancora di più la sua visuale, illudendolo che un ritorno all’Anima sia impossibile e gettandolo così nel baratro oscuro dell’angoscia e della disperazione.
Naturalmente la strada da compiere è del tutto figurata e il viaggio da intraprendere è squisitamente interiore, in quanto è dentro di noi che dobbiamo scavare, tra i recessi latenti e segreti della nostra Anima. Proprio per questo, per via dell’unicità di ogni persona, se la domanda di partenza è la stessa il cammino non può al contrario che essere diverso. Non ci sono prescrizioni possibili da dare, né corsie preferenziali: il cammino è “particolare”, perché il ritorno al Sé è concesso a tutti ma la chiave per accedervi può avere forme diverse.
“Non si tratta di dire all’uomo quale cammino deve percorrere: perché c’è una via in cui si segue Dio con lo studio e un’altra con la preghiera una con il digiuno e un’altra mangiando. È compito di ogni uomo conoscere bene verso quale cammino lo attrae il proprio cuore e poi scegliere quello con tutte le forze”.
Anche se il cammino non è univoco, Buber indica tuttavia alcuni consigli preliminari che possono essere validi per tutti. Il primo, imprescindibile, è quello di conoscere se stessi, perché se davvero il cammino è speculare alla propria anima, allora soltanto seguendo il principio socratico “conosci te stesso” si può sperare di cogliere la modalità di percorso più adatta. Il secondo riguarda invece la concentrazione sul sé, senza imitare le strade compiute dagli altri: i grandi che hanno camminato prima di noi possono fungere certamente da esempio ma dobbiamo trovare la nostra strada particolare e unica, in quanto vedere gli altri fa perdere di vista il proprio irripetibile sé.
Un altro consiglio fondamentale è però quasi in contraddizione con il secondo, ossia quello di “non preoccuparsi di sé”. L’apparente paradosso – dimenticarsi di se stessi come modalità per concentrasi su se stessi – si scioglie, tuttavia, in una duplice prospettiva: anche i più piccoli legami con il mondo e gli incontri quotidiani possono offrire arricchimento all’Anima; il cammino in se stessi non deve avere anche fine in noi stessi, bensì deve avere l’obiettivo di riemergere all’esterno con una nuova consapevolezza.
L’invito definitivo, dunque, non è quello di sfuggire dal nascondimento (nel caos del mondo) con un altro nascondimento (quello in se stesso), ma quello di tenere aperto il flusso di scambi tra il fuori e il dentro, di modo che “quando l’uomo ha trovato la pace in se stesso può cercarla nel mondo intero”. È forse proprio dal mondo dispersivo e variegato in cui ci troviamo che possiamo partire a riflettere sul senso della mancanza e della perdita che avvertiamo instancabilmente nei momenti di silenzio. La sfida lanciata da Buber è quella di cercare quello che ci manca non inseguendo false illusioni, ma fermandoci dove ci troviamo perché è già lì – nel profondo della nostra Anima – che abbiamo tutto quello di cui abbiamo bisogno per iniziare il cammino. Solo in questo modo possiamo arrivare, finalmente, a trovare la risposta autentica alla domanda iniziale. “Dove sei?” “Esattamente dove mi trovo”.
Riferimenti bibliografici
M. Buber, Il cammino dell’uomo. Secondo l’insegnamento chassidico, tr. It. Gianfranco Bonola, Magnano, Qiqajon, 1999.
-, Confessioni estatiche, cur. It. C. Romani, Milano, Adelphi, 2010.
-, L’eclissi di Dio, tr. It. Ursula Schnabel, Milano, SE, 2022.
Enzo Bianchi, Itinerario della vocazione, Magnano, Qiqajon, 2018.
Gershom Scholem, Martin Buber interprete dell’ebraismo, cur. It. Francesco Ferrari, Firenze, Giuntina, 2015.