Il nichilismo è alle porte: da dove ci viene costui, il più inquietante di tutti gli ospiti?
Friedrich Nietzsche
«Il più inquietante di tutti gli ospiti»: è questa la definizione suggestiva, eppure quanto mai concreta, che Nietzsche dà del nichilismo. Lo si potrebbe immaginare in effetti come un ospite che disturba con i suoi sussurri, che ferisce con le sue parole, e infine annienta con il suo silenzio. Il nichilismo consiste nella perdita di ogni valore, il crollo di tutte le certezze, e soprattutto la scoperta del nihil, nulla. In risposta a questo, l’uomo si è allontanato dalla sua interiorità e si è lasciato sprofondare nell’oblio dell’Anima operato dal nichilismo duplicemente imperante e imperioso.
Se dovessimo segnare storicamente una data di nascita del nichilismo, la potremmo collocare con l’annuncio spiazzante di Nietzsche. «Dio è morto!», e insieme a lui sono morti tutti gli altri “falsi miti”, un sistema intero di valori ritenuti inossidabili e una lunga catena di tradizioni e credenze, ridotte improvvisamente a una coltre di nebbia. E l’uomo in questa nebbia si è smarrito: sembra improvvisamente non saper più quale percorso intraprendere e neanche più (effetto ben più dirompente) la direzione verso cui tendere. A dominarlo sono le cosiddette “passioni tristi”, un contenitore dove vanno a cadere l’inquietudine, l’insicurezza, l’incertezza e l’angoscia, tutte motivate proprio dalla perdita di ogni fine e motivazione. Si tratta di una visione essenzialmente nuova del futuro: per usare le parole di Umberto Galimberti, si è verificato il passaggio dal “futuro-promessa” al “futuro-minaccia”. Cos’ha da offrire il futuro se il presente è dominato dal nulla?
È un effetto a catena inevitabile: la crisi delle certezze che segna in maniera indelebile la società contemporanea significa anche indissolubilmente crisi liminale. È la coscienza interiore, infatti, a subire la più profonda delle fratture e il più devastante dei crolli. Perché l’uomo si è guardato dentro e – senza la voce degli altri, di un’autorità, di una divinità – ha trovato dentro di sé solamente silenzio, solamente un profondo e incommensurabile vuoto. Ed è un vuoto a perdere, perché punto di fuga di tutti i perché e di tutti i barlumi di senso che improvvisamente hanno perso ogni luce.
Tuttavia, credere che quell’ospite inquietante sia nato in un preciso momento storico e proprio come effetto del fallimento delle certezze accumulate per secoli è in fondo un errore. Quel vuoto è sempre stato presente, scritto nella nostra essenza di essere umani e pensanti, ed è sempre rimasto in agguato pronto a sgusciare fuori al momento opportuno. «Dio è morto!» è stato solo l’invito che stava aspettando per palesarsi. Dobbiamo riconoscere allora che quell’ospite inquietante, in fondo, non è altro da noi; è al contrario parte indistricabile del nostro profondo io, un sussurro sempre in procinto di diventare grido ma comunque una voce che non può essere mai spenta del tutto. Allora ascoltiamo cosa quell’ospite ha da dirci, anzi interroghiamolo, giocando d’anticipo. Come riflette Heidegger, «non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia». Ci siamo accorti di lui, facciamo dunque il passo ulteriore di conoscerlo – anzi, forse, ri-conoscerlo.
L’antico motto socratico «Conosci te stesso» si rivela ancora una volta la via preferenziale per la migliore condotta filosofico-esistenziale, perché conoscere se stessi è indagine profonda volta a scoperchiare anche – e forse soprattutto – i coni d’ombra e le paure più ancestrali, terreno fertile per l’annidarsi di quel nulla. Il dialogo tra l’io e l’ospite non potrà mai, infatti, essere altro che un dialogo con se stessi: ci accorgeremo presto che guardare in faccia quell’ospite inquietante significa guardarsi allo specchio, perché quell’ospite indossa la nostra faccia e, ancor più grave, la nostra Anima.
Il nulla, fonte di profondo dolore e puro spaesamento per l’essere umano, ha inevitabilmente eclissato la nostra Anima, perché proprio come un’eclissi ha coperto la sua ricerca di senso e oscurato i suoi aspetti più innocenti; ma, proprio come durante un’eclissi il sole non smette di essere presente, così la nostra Anima è ancora piena di vita, di senso, e di un tutto che il nulla non può del tutto annientare. La nebbia può essere soffiata via solo dall’interno, il sole può tornare visibile solo se ci arrendiamo all’attesa – un’attesa che deve continuare a essere tuttavia sempre e comunque attiva e operativa. Come i prigionieri nella caverna del mito platonico, nel giogo del nichilismo vediamo solo ombre dipinte su un muro, ma basta voltarsi per vedere che la realtà non è solamente fatta di ombre e che il sole non ha mai smesso di splendere alle nostre spalle. Conoscere se stessi è allora l’origine di un ripiegamento interiore autentico, la base di un viaggio iniziatico che non avrà mai davvero fine e resterà sempre in divenire. Il fine di questo nuovo costante percorso sarà quello di imparare a camminare nella nebbia del nichilismo, e allo stesso tempo rovesciare l’eclissi per recuperare quella guida interiore che è sempre stata propria dell’Anima.
Viene dunque da chiedersi se forse la scoperta del nulla non sia anche un’epifania, una spinta alla ricerca e all’introspezione che altrimenti sarebbe addirittura potuta mancare nel riposo soddisfacente delle effimere illusioni. La voce del nulla all’interno del nostro io potrebbe essere una declinazione di quella stessa voce autentica dell’Anima che da sempre ha accompagnato la riflessione umana. Fin dall’alba del pensiero filosofico, è sempre stata l’alternativa e la coesistenza tra l’essere e il non essere ad accendere la scintilla di ricerca. L’essere e il nulla: dicotomia impossibile con cui si è dovuta confrontare tutta la filosofia, da Parmenide a Heidegger.
Il nulla potrebbe essere il punto di partenza, un altro insospettabile presentarsi della Chiamata dell’Anima. Quell’ospite, indiscutibilmente «il più inquietante» potrebbe essere anche il più prezioso, se solo accettiamo la sua sfida di ripensare e ripensarci, di addentrarci in questo nulla sviscerandolo nelle sue profondità fino a portarne a galla una negazione. Secondo la concezione esistenzialistica, l’uomo è da sempre gettato nel nulla, fin dalla sua comparsa nel mondo, eppure questo non deve impedirgli di iniziare e proseguire la sua ricerca di senso. Per usare le parole di Sartre, «l’uomo non è definibile in quanto all’inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto».
Riferimenti bibliografici
U. Galimberti, L’ospite inquietante, Milano, Feltrinelli, 2007.
M. Heidegger, La questione dell’essere, in Segnavia, tr. it. Franco Volpi, Milano, Adelphi, 1987.
F. Nietzsche, La gaia scienza e idilli di Messina, tr. it. Ferruccio Masini, Milano, Adelphi, 1977.
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, in Opere, Milano, Adelphi, 1974, vol. VIII, 3.
J. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, tr. it. a cura di Giancarla Mursia Re, Milano, Mursia, 1996.