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Peter Sloterdijk: stato di morte apparente

Peter Sloterdijk: stato di morte apparente

Che cos’è l’uomo, se non l’animale dal quale viene preteso troppo?

Peter Sloterdijk

Stato di morte apparente è il titolo di un saggio pubblicato nel 2011 dal filosofo di Karlsruhe, Peter Sloterdijk. Ma non solo. Esso è anche il mondo in cui viviamo, una designazione che indica la caratteristica fondamentale della nostra epoca: siamo vivi, e tuttavia al contempo morti. Uomini e donne che da bravi cittadini, giorno dopo giorno si recano sul posto di lavoro per svolgere il loro dovere, per sei, otto, dieci ore al giorno, per poi poi tornare a casa a indossare vite isolate, cupe, perse. L’Occidente ha perso il rapporto con ciò che costituisce un’esistenza autenticamente piena e meritevole di essere vissuta, questo è il messaggio di Sloterdjik.

Peter Sloterdijk Stato di morte apparente

La condizione di morte apparente di cui parla il filosofo di Karlsruhe si manifesta nella forma di una impasse storica, una grande «paralisi», per rubare un termine a Joyce, la quale getta l’Occidente anno dopo anno in una condizione di stagnazione sempre più profonda. Moralmente, culturalmente, istituzionalmente e persino tecnologicamente, siamo persi: il nichilismo riconosciuto ufficialmente in filosofia dalla Postmodernità ha inflitto l’ultima ferita su un Occidente già divorato dalla follia consumistica e da un avanzamento tecnologico che non lascia scampo all’uomo, inghiottendolo in strutture sempre più complesse e perverse.

E’ una sorta di matrioshka infernale quella in cui si trova ingabbiato l’uomo occidentale. All’antica struttura dello Stato – Sloterdjik le chiama Sfere – si è infatti aggiunta la struttura dell’io borghese, imprenditore e individualista, già criticata da Byung-Chul Han. Poi la tecnologia, la virtualità, la globalizzazione, le tre Erinni della modernità, hanno finito il quadro, riducendo l’uomo ad un essere dilaniato in un mondo che sente non appartenergli più.

Peter Sloterdijk Sfere

Il messaggio di Sloterdjik non è quello di «uno che grida nel deserto». Altri, prima di lui, hanno avvertito l’Occidente della catastrofe imminente. La particolarità della filosofia di Sloterdjik non consiste allora unicamente nel suo generico messaggio, ma nella declinazione specifica che egli dà a questo avvertimento.

Sloterdijk non concepisce il degrado dell’Occidente contemporaneo in termini apocalittici, ma come imputridimento, paralisi e stagnazione. Ci stiamo assopendo. L’autore di Critica della ragion cinica (1983) vede infatti nel cinismo contemporaneo proprio il segnale di questo spegnersi della forza vitale, il che si manifesta come serialità della produzione creativa, impoverimento del linguaggio e scadimento della capacità empatica dell’uomo. Il degrado morale è una chiara conseguenza di tutto ciò, tra l’altro sotto gli occhi di ciascuno: esso ci riguarda ormai fin troppo da vicino. La difficoltà allora non è quella di sviluppare un’etica rivoluzionaria per abbattere un nemico titanico, com’è stato per il XVIII secolo. Oggi lo scontro si svolge nell’ambito del micro, del quotidiano.

Peter Sloterdijk Critica della ragion cinica

La lezione di Foucault viene appresa proprio nell’attenzione posta alle situazioni della vita ordinaria, le quali non soltanto sono assolutamente piene di dignità – di contro alla vulgata idealistica tipica dei secoli passati – ma sono esse stesse il fulcro, il terreno della battaglia che si sta svolgendo in Occidente per il controllo delle anime individuali. Laddove infatti l’armamentario infrastrutturale della modernità vuole segmentare sempre più l’essere umano, annichilendo i legami sociali e consumandone le possibilità empatico-emotive, Sloterdjik propone (e sostiene) un’etica del quotidiano, capace di andare a fondo in ciò che già siamo, nelle situazioni di tutti i giorni. Egli chiama «filosofia del risveglio» questa, più che possibilità, necessità. E’ necessario infatti che l’uomo occidentale riprenda il controllo della propria vita attraverso una serie di pratiche volte a sviluppare un profondo senso di consapevolezza e attenzione.

Da questo punto di vista Sloterdjik non fa altro che continuare e approfondire il discorso dell’ultimo Foucault. Se la modernità è biopolitica e volta all’istituzione di tecniche capaci di manipolare lo spirito umano, per quale motivo non sarebbe possibile utilizzare noi queste stesse tecniche – a nostro vantaggio? Esercizi di ascesi come, ad esempio, la meditazione, sono infatti strumenti estremamente efficaci nell’ambito dello sviluppo di una antropotecnica adatta al presente. In questo contesto antropotecnica significa: una tecnica volta a renderci umani, a renderci consapevoli di ciò che già siamo.

Peter Sloterdijk Esercizi

Qui il termine chiave è attenzione. Fare attenzione alla vita quotidiana e a ciò che ci circonda, riscoprire l’importanza del dialogo, dell’ascolto attivo e della discussione, accentuare e valorizzare l’incredibile apporto che l’arte conduce alla vita umana strappandola al grigiume senza significato del sistema produttivo; poi ancora la filosofia, con il suo portato inestimabile capace di aprire in continuazione nuovi orizzonti di pensiero (qualcosa di molto pericoloso, nell’epoca dell’uomo a una sola dimensione) sono tutti strumenti capaci di strutturare questa possibilità intrinseca nell’uomo.

Riscoprire la fragilità e la lentezza della vita umana, nella loro bellezza, dell’interdipendenza reciproca che esse comportano, di contro alla velocità iperstimolata di un sistema che oramai non ha più nulla di offrire se non i propri scarti, la propria mera spazzatura.

Si inizia con una epoché capace di fare silenzio attorno a sé, ridurre all’osso l’esperienza del mondo e lasciar emergere ciò che è fondamentale. Si finisce con lo sviluppo di una tecnologia del sé capace di attribuire all’individuo l’importanza che esso merita, rendendolo consapevole del valore di essere uomo e della necessità di ridiventare uomo, in un’epoca che con gli uomini vorrebbe chiudere definitivamente. L’uomo d’altronde è un problema, in un’epoca che non vorrebbe sentir parlare altro che della macchina.

Se la modernità allora vuole chiudere, ingabbiare in mura e pareti (seppur metafisiche) che da una parte proteggono, ma dall’altra oscurano e sottraggono alla vista, la soluzione per noi sembra essere più simile allora a quella di una Narrazione aperta per come la propone Ricoeur, filosofo vicino all’ermeneutica come d’altronde lo stesso Sloterdijk. E’ finito il tempo della filosofia come mero esercizio di ragione. E’ invece iniziata l’epoca in cui alla filosofia sarà richiesto di tornare alle proprie origine, fornendo ad anime perse la possibilità di una vera e propria askesis, una condotta tra esercizi e meditazione grazie alla quale ritrovare se stessi e, si spera, l’Occidente intero. L’Occidente ha infatti bisogno non di più progresso ma di più umanità, poiché essere umani, e basta, non è sufficiente. Bisogna invece riscoprirsi umani costantemente, e ridiventarlo giorno dopo giorno.

Riferimenti bibliografici

Peter Sloterdjik, Stato di morte apparente, Raffaello Cortina Editore, 2011

-, Critica della ragion cinica, Raffaello Cortina Editore, (1983)

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