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Tzvetan Todorov: le origini e lo sviluppo della Narratologia

Tzvetan Todorov: le origini e lo sviluppo della Narratologia

La letteratura permette a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano.

Tzvetan Todorov

I progenitori della narratologia, Aristotele e funzionalisti russi

Quest’opera fa parte di una scienza che non esiste ancora, la narratologia, la scienza della narrazione.[1] Siamo nel 1969, e Tzvetan Todorov coniò, nelle prime pagine della sua Grammaire du Décaméron, il termine narratologia per indicare la disciplina che si occupa dello studio delle strutture narrative.
Invero, già Aristotele, nella Poetica, contrapponeva forme narrative e drammatiche: la diegesi, vale a dire la rappresentazione indiretta, quindi narrata, di una vicenda, e la mimesi, la rappresentazione diretta e recitata. Possiamo però affermare senza ombra di dubbio che i progenitori della narratologia contemporanea sono stati i formalisti russi, appartenenti alla scuola critica letteraria nata negli ultimi anni dell’Impero Zarista.

Proprio alla scuola formalista possiamo fare risalire la distinzione, fondamentale nella narratologia, fra fabula e intreccio: la successione cronologica degli eventi presenti nella storia, la prima; l’ordine, deciso dall’autore, in cui gli stessi vengono presentati nel racconto, la seconda. Vladimir Propp, il più celebre degli esponenti della scuola russa, analizzò centinaia di favole della tradizione slava e, in questo modo, riuscì a rinvenire diverse figure, ben 31, presenti in modo costante e praticamente ovunque: sono le cosiddette funzioni di Propp, che si susseguono sempre nello stesso ordine, dalla prima, l’allontanamento, all’ultima, il matrimonio o l’incoronazione.

Tzvetan Todorov Grammaire du Decameron

Ciò che importa è quello che succede ai personaggi, non chi essi siano; quindi, si possono rilevare le stesse funzioni in favole che hanno come protagonisti principi e principesse e in altre popolate da animali. Inoltre, nell’analisi di Propp esistono anche personaggi-tipo, ad esempio il protagonista, l’antagonista, l’aiutante e il mandante, e uno schema generale, composto da quattro macro sequenze: equilibrio iniziale, rottura dell’equilibrio, peripezie dell’eroe, ritorno all’equilibrio.[2]
Propp ebbe senz’altro il merito di aver attribuito al racconto un fondamento logico: il suo lavoro, però, non fu esente da critiche, la più condivisibile delle quali probabilmente fu quella mossa da Claude Lévi-Strauss nel 1960: se prima del Formalismo si ignorava cosa avessero in comune le fiabe, dopo di esso sorse il problema opposto, vale a dire capire in cosa queste ultime differissero.[3]

Vladimir Propp Morfologia della fiaba

La scuola francese e i suoi eredi

Furono i filosofi e i critici francesi degli anni Sessanta, fra i quali Lévi-Strauss e Todorov, già citati, a fare evolvere la disciplina, cercando di individuare le unità minime e le regole alla base della stessa. L’idea che fonda la riflessione di questi autori, come anche di Roland Barthes e di Gérald Genette, è che, alla base della architettura narrativa, vi sia sempre una struttura profonda, autonoma, da cui ha origine ogni racconto.
Per Todorov, l’opera letteraria è contemporaneamente storia e discorso. È storia, perché comprende una realtà definita, persone ed eventi che sono presumibilmente avvenuti, a prescindere dal fatto che vengano o meno narrati; è discorso, perché ci sono un narratore e un lettore. Per questo, sono importanti non tanto gli avvenimenti in sé, quelli della storia, quanto il modo in cui essi vengono raccontati.[4]

Genette distinse, più tardi, racconto e storia: il racconto è l’atto espressivo del narrare; la storia è il contenuto dell’atto stesso.[5] Da questo punto cardine, si può lavorare e partire con una vera e propria analisi funzionale del testo. In primis, è necessario rintracciare le unità base della composizione del racconto, quindi l’attenzione si concentra sulla scomposizione dei vari livelli, con la suddivisione dei testi in sequenze, blocchi unitari delimitati a livello temporale o contenutistico. È poi possibile procedere con l’analisi dei personaggi, che già per i funzionalisti erano partecipanti del racconto, non esseri, e con quella, fondamentale, del narratore.

A partire dagli anni Settanta, in quella che si può definire seconda fase della narratologia classica, vennero avvertite delle criticità nella sistematizzazione, esattamente come Lévi-Strauss dubitava dell’opera di Propp: una volta discusso sugli aspetti in comune dei racconti, si avvertì il bisogno di concentrarsi sulle specificità; quindi, si iniziò a procedere con un approccio più descrittivo, che permetteva una classificazione degli elementi centrali della narrazione: la posizione del narratore, il rapporto fra il tempo della storia e il tempo del racconto, il punto di vista da cui la storia viene raccontata.

A tal proposito, Todorov distingueva il narratore a seconda del suo grado di conoscenza: esistono, infatti, narratori che ne sanno più dei personaggi, altri che ne sanno allo stesso modo, altri ancora che ne sanno meno. Fu Genette, invece, il primo a parlare di tempo della storia, quello cronologico che caratterizza la fabula, e di tempo del racconto, che per lo più non coincide col primo, essendo fatto di dialoghi, ma anche di sommari ed ellissi, oppure di dilatazioni descrittive o riflessive.

Il post-strutturalismo e l’approccio cognitivista

Più avanti, a partire dalla fine degli anni Settanta, grazie soprattutto al lavoro di Chapman, la narratività, definita come «una proprietà data che caratterizza un certo tipo di discorso, e a partire dalla quale si distingueranno i discorsi narrativi da quelli non narrativi»[6] si focalizzò su processi mentali, dialogando apertamente e ampiamente con le scienze cognitive e le neuroscienze. Gli ultimi decenni del Novecento videro dunque la narratologia concentrarsi sempre di più sul personaggio, sul tipo di descrizione, sulla presentazione e sulla definizione dello stesso. Per quel che riguarda la descrizione, essa può essere fisica, psicologica, culturale, sociale; un personaggio può poi essere, nel corso della narrazione, statico o dinamico, rimanere quindi sempre uguale a se stesso o evolvere nell’atteggiamento e nelle idee (si pensi ad esempio ai protagonisti dei grandi romanzi di formazione), piatto o a tutto-tondo, a seconda che sia descritto in modo approfondito o sommario e superficiale.

La presentazione, infine, può essere diretta o indiretta: nel primo caso, la caratterizzazione è spesso all’inizio, o quando il personaggio appare per la prima volta, e ne vengono messi in evidenza i caratteri parlando in prima o in terza persona; nel secondo caso, più comune nelle opere contemporanee, il personaggio viene conosciuto a poco a poco grazie a indizi, ad esempio il modo di parlare, di vestire, i luoghi frequentati. Ricco di implicazioni, nella narratologia più recente, anche il fatto che la disciplina si sia evoluta anche nei suoi campi di applicazione: se all’inizio l’oggetto era tendenzialmente solo un testo scritto, l’analisi iniziò a interessarsi anche del teatro, dei fumetti, delle opere cinematografiche, fornendo nuovi spunti e aprendo filoni di ricerca inediti.

Riferimenti bibliografici

Barthes R., Critica e verità. Torino, Einaudi, 1985.

Fioroni F., Dizionario di narratologia. Bologna, Archetipolibri, 2010.

5 Genette G., Discorso del racconto, Figure III. Torino, Einaudi, 1976.

6 Greimas, A.J. & Courtés, J. Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio. Milano, Mondadori 2007.

3 Lévi-Strauss C., La struttura e la forma. Riflessioni su un’opera di Vladimir Ja. Propp, in Appendice a Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966.

2 Propp V., Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966.

4 Todorov T., Le categorie del racconto letterario. L’analisi del racconto. Milano, Bompiani, 1969.

Todorov T., Grammaire du Décaméron, La Haye, Mouton, 1969.

  1. Todorov T., Grammaire du Décaméron, La Haye, Mouton, 1969.

  2. Propp V., Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966.

  3. Lévi-Strauss C., La struttura e la forma. Riflessioni su un’opera di Vladimir Ja. Propp, in Appendice a Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966.

  4. Todorov T., Le categorie del racconto letterario. L’analisi del racconto. Milano, Bompiani, 1969.

  5. Genette G., Discorso del racconto, Figure III. Torino, Einaudi, 1976.

  6. Greimas, A.J. & Courtés, J. Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio. Milano, Mondadori 2007


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