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Jonathan Gottschall: l’istinto di narrare nel cuore dell’uomo

Jonathan Gottschall: l’istinto di narrare nel cuore dell’uomo

Le storie sono il collante della vita sociale umana, definiscono i gruppi e li tengono saldamente uniti. Viviamo nell’Isola che non c’è perché non possiamo farne a meno. Siamo l’animale che racconta storie.

Jonathan Gottschall

L’essere umano è uno storytelling animal, un animale che racconta storie: questa è la certezza alla base del pensiero di Jonathan Gottschall, storico della letteratura e saggista statunitense contemporaneo. Migliaia e migliaia di anni fa, molto tempo prima che venisse ideata, o anche solo tramandata a voce, la prima opera letteraria, prima che nascesse una qualsiasi forma, ancorché rudimentale, di scrittura, i nostri progenitori, riuniti attorno al fuoco dopo la caccia e le opere della giornata, si raccontavano storie di eroi, di amore, di creature spaventose o amiche. E, di certo, in questo contesto nacquero i primi miti sulla Natura e sull’Uomo, che si sono riverberati per millenni e di cui ancora discutiamo.

“Abbiamo, come specie, una vera dipendenza dalle storie. Anche quando il nostro corpo dorme, la mente sta sveglia tutta la notte narrando storie a se stessa”.

All’epoca, gli esemplari di Homo Sapiens erano davvero poco numerosi, sul nostro pianeta, mentre ora, con una popolazione che tocca quasi gli otto miliardi, dominiamo la Terra, in qualche modo la infestiamo, la sfruttiamo per soddisfare i nostri bisogni come mai nella storia; ciò nonostante, ancora, come i nostri antenati, siamo immersi nella narrazione: ogni giorno leggiamo libri, guardiamo film, discutiamo, inventiamo. E, per dirla con Gottschall, per noi le narrazioni sono come l’acqua per i pesci: vitali, senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

Jonathan Gottschall Listinto di narrare

Mentre siamo ancorati, con il corpo, in un contesto spazio-temporale ben definito, la mente viaggia, e lo fa di continuo, facendoci immaginare mondi alternativi, soluzioni, possibilità: così facendo, piano piano, la narrazione riesce a modificare le nostre abitudini, i nostri comportamenti, addirittura i valori, che ne sono plasmati inesorabilmente. Al centro del nostro comportamento e della nostra esistenza, verrebbe da dire, ci sono cose che non esistono, ma che hanno un’influenza preponderante su di noi. Ciò avviene, per istinto, fin dalla più tenera età: da bambini, ben prima dell’età scolare, ci interessiamo a storie che ricaviamo da ciò che ci viene raccontato, dai libri che sfogliamo, dai film, dai giochi di finzione a cui partecipiamo. Si tratta anche di un importantissimo collante sociale che ci permette di tessere relazioni per tutto il corso della nostra vita. Se non siamo lettori, se non amiamo i film, poco importa: le narrazioni saranno veicolate da un mezzo diverso, ma non ne saremo privati.

“Alcuni prendono in giro le persone che costruiscono castelli in aria. Invece l’immaginazione è uno straordinario strumento della mente. Mentre il nostro corpo è bloccato in uno specifico qui e ora, la nostra immaginazione ci permette di muoverci liberamente nel tempo e nello spazio”.

Senza contare le storie che, comunque, ci raccontiamo per tutto il corso dell’esistenza: di notte, in primis, con sogni prodotti in grandissima quantità; ma anche di giorno, quando non smettiamo di divagare, a meno che non ci costringiamo a concentrarci su qualcosa di molto specifico, e comunque per breve tempo. Siamo così istintivamente legati alla narrazione, che psicologi e neuroscienziati hanno dimostrato senza ombra di dubbi che anche i nostri ricordi non sono poi così attendibili, ma che sono anch’essi ricchi di finzione.

“La finzione narrativa esprime, nel suo insieme, un forte senso etico”.


Perché ci succede questo? Tutto sommato, il termine finzione ha un valore negativo, se visto in assoluto; quindi, ci si potrebbe chiedere perché indulgiamo nel raccontarci storie. Non sarebbe più vantaggioso, nella vita, essere radicati nella realtà in cui, giocoforza, ci troviamo con il corpo? Ebbene, in realtà è proprio la narrazione ad aver contribuito alla nostra evoluzione. D’altra parte, se raccontare non ci avesse fornito una spinta evolutiva, se addirittura fosse stata un’attività dannosa, la avremmo persa già dalla notte dei tempi. Essendo storytelling animal, mettiamo la mente nelle condizioni di sperimentare scenari alternativi e di fare esperienze che fisicamente non potremmo permetterci, o almeno non in gran quantità; inoltre, riusciamo a imparare anche dall’esperienza altrui, non solo dalla nostra, che per forza di cose è limitata.

Jonathan Gottschall Il lato oscuro delle storie. Come lo storytelling cementa le societa e talvolta le distrugge

Le storie ci permettono di evadere, e su questo punto innegabile Gottschall rivela un paradosso: solitamente, una storia ci interessa di più se presenta problemi e tensioni immaginarie, complicazioni e disgrazie, come se per evadere dai nostri problemi quotidiani ne creassimo altri, spesso più gravi di quelli che abbiamo. La struttura dello storytelling gira tutta attorno al problema da risolvere, ma proprio in questo modo riusciamo a esercitare competenze, ci esponiamo a emozioni che, vissute in prima persona, potrebbero essere anche deflagranti. In altre parole, facciamo pratica dei problemi, e questo ci porta ad affrontarli meglio quando, e se, ci si presentano: d’altra parte, come dimostrato dalle neuroscienze, anche solo simulare il trovare una soluzione o un comportamento rinforza le nostre connessioni neurali: è tutto merito dei neuroni-specchio, che si attivano quando vediamo qualcuno agire in un determinato modo anche se noi non siamo coinvolti, permettendoci di imparare osservando. Le storie riescono, così, a creare empatia; a partire dalla nascita del romanzo, esse hanno permesso ai lettori – come anche agli spettatori di opere cinematografiche o teatrali — di identificarsi coi meno fortunati, di comprenderne i bisogni, le ragioni e le sofferenze.

Come sostiene Lynn Hunt, eminente scrittrice e storica statunitense, anche i diritti umani sono l’esito dei cambiamenti della sensibilità e dell’emotività umana partiti proprio dalla lettura di romanzi, che avrebbe influenzato anche la nostra sfera biologica: gli effetti fisici della lettura, infatti, avrebbero determinato modificazioni cerebrali che avrebbero, a loro volta, prodotto idee nuove sull’organizzazione sociale e politica desiderabile e da perseguire.

Lynn Hunt La forza dellempatia

L’idea di Hunt del racconto che genera empatia è condivisa a vari livelli da scienziati e artisti contemporanei, ma, nei suoi ultimi lavori, il pensiero di Gottschall si è approfondito, rimarcandone anche aspetti negativi. Infatti, l’energia che viene generata dalla narrazione non deve essere sottovalutata o solo celebrata acriticamente, perché può indurre anche all’inverso dell’empatia, cioè all’odio, alla cecità morale verso chi si trova nel ruolo di cattivo. È quello che, ad oggi, accade spesso con la post-verità, con la disinformazione a cui tutti possono accedere molto facilmente, anche per molte ore al giorno.

Anche ogni male della società nasce sempre da una storia convincente, avvincente ma che confonde, che manipola le persone, le quali spesso non si rendono nemmeno conto di quanto una buona storia abbia presa su di loro. Si fa quindi necessario, dunque, rinunciare a raccontare storie che ci rappresentano come eroi che lottano contro i cattivi che ci si oppongono: solo evitando questa dicotomia potremo costruire davvero empatia e ponti e non, al contrario, generare divisioni sempre più marcate fino ad arrivare alla nostra distruzione.

Riferimenti Bibliografici

J. Gottschall, L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, Bollati Boringhieri, 2012.

J. Gottschall, Il lato oscuro delle storie. Come lo storytelling cementa le società e talvolta le distrugge, Bollati Boringhieri, 2022.

L. Hunt, La forza dell’empatia, Una storia dei diritti dell’uomo, Laterza, 2010.

 

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