Sarò sempre contro ogni tirannia, anche quella del numero, per spingere ogni uomo, assolutamente ogni uomo, a essere sveglio, a divenire Singolo, a rapportarsi con l’Assoluto.
Søren Aabye Kierkegaard
Søren Kierkegaard nacque il 5 maggio 1813 a Copenaghen, in Danimarca, da una famiglia di estrazione religiosa luterana. Suo padre, Mikäel Pedersen Kierkegaard – che esercitava il mestiere di calzolaio, – crebbe il piccolo Søren in un’atmosfera rigida e cupa, in accordo con i dettami del pietismo.
Considerato un precursore della filosofia esistenzialista, durante la sua breve ma intensa parabola terrena – morirà ancora giovane, a soli 42 anni, colpito da una grave malattia, l’11 novembre 1855 – lasciò raramente la sua città natale, dove visse un’esistenza tranquilla, priva di eventi mondani di particolare rilievo. Dopo la morte del padre Mikäel, nel 1838, ereditò una cospicua somma di denaro che gli permise di dedicarsi a tempo pieno ai suoi studi filosofici e teologici.
La sua filosofia, nonché la sua vita in generale, sarà fortemente influenzata dalla subitanea adesione al cristianesimo, vero e proprio propulsore del suo pensiero. Benché molto del pensiero kierkegaardiano si risolva in ottica cristiana, è possibile riannodare le fila del discorso del pensatore in un’ottica di incredibile attualità, preveggente dei tempi moderni.
Kierkegaard, diversamente da alcuni suoi predecessori, intende riconsiderare la dimensione dell’individualità per restituirle nuovo lustro, riconcedendole quel primato che un filosofo come Hegel aveva subordinato alla dimensione universale. Egli, infatti, rivendica la singolarità dell’esistenza individuale e parallelamente il primato della fede. La sua filosofia si contraddistingue per essere una vera e propria ricerca sul campo della vita e dell’esistenza, che investe senza troppi freni l’esistenza umana tutta.
Nelle sue due opere principali, ovvero Aut-Aut e Timore e Tremore, Kierkegaard sottolinea come in ogni circostanza e in ogni momento della vita dell’uomo si aprano infinite possibilità di scelta esistenziale che corrispondono a tre precisi stadi di vita: estetico, etico e religioso. Ciascuna di queste tappe risulta autonoma e scollegata dalle altre, giacché il passaggio dall’una all’altra è possibile solo mediante il cosiddetto salto, tale che ognuna di esse risulti una vita autenticamente alternativa all’altra.
Senza alcun dubbio, l’epoca di rivelazione del nichilismo in cui viviamo risponde a pieno titolo alla dimensione dello stadio estetico. L’Uomo contemporaneo, esattamente come l’esteta che vive tutto per il godimento, è ingabbiato in una ricerca spasmodica del piacere e reiterazione dello stesso al punto tale da esserne completamente assuefatto. Ogni forma di godimento è oggi estremamente a portata di mano e facile da realizzare. Qual è il problema di questa forma di piacere in apparenza inesauribile? Esso è falso. Non c’è nulla di autentico nella vita estetica, essa è uno stadio di finzione in cui l’individuo è in balia dei suoi istinti primordiali, vittima di sé stesso.
La figura dell’esteta per eccellenza, scelta da Kierkegaard per descrivere lo stadio estetico, è il Don Giovanni di Mozart. Egli vive costantemente alla ricerca della perfezione estetica, e dunque esteriore, per poi ripiombare nel circolo vizioso della noia, dell’angoscia e della ripetizione. Il Don Giovanni è in realtà un uomo profondamente infelice che mente sulla sua felicità dettata da una necessità di apparire a sé e agli altri, egli è un uomo dipendente dall’alterità perché niente di ciò che possiede potrà mai soddisfarlo.
Questa condizione da Don Giovanni, più di ogni altra cosa, è il riflesso speculare dei tempi presenti. Ciascun individuo oggi sembra risucchiato da un vortice di continua ricerca dei Piaceri che non conducono alla felicità. Anche la filosofia epicurea aveva prestato molta attenzione all’analisi dei piaceri e infatti essa aveva dato il nome di piacere cinetico all’insieme dei falsi piaceri che offrono solo un momentaneo godimento, ma che per la loro natura volatile non conducono a un appagamento duraturo. Ciò che manca allo stadio estetico è infatti la capacità di perseverare e perseguire un obiettivo a lungo termine, in una parola, la costanza.
Lontano dalla verità, dalla Via per la salvezza che conduce alla vera scoperta e autorealizzazione di sé, l’uomo può venire fuori dalle menzogne di piacere della vita Estetica ascoltando la Chiamata dell’Anima – il salto di cui parlava Kierkegaard – che ci guida verso un’altra direzione, più vera.
Per Kierkegaard il salto dallo stadio estetico conduceva a una nuova forma di vita più giusta, più etica. Allo stadio Etico segue, infatti, l’accettazione di tutte quelle responsabilità che l’esteta, in preda al godimento sfrenato, aveva rifiutato.
“Ma cosa vuol dire vivere esteticamente e cosa vuol dire vivere eticamente? Cosa è l’estetica nell’uomo, e cosa è l’etica? A ciò risponderò: l’estetica nell’uomo è quello per cui egli spontaneamente è quello che è; l’etica è quello per cui diventa quello che diventa. Chi vive tutto immerso, penetrato nell’estetica, vive esteticamente”.
Coloro che aderiscono, secondo Kierkegaard, alla vita Etica sono individui che hanno ristabilito il centro della loro esistenza intorno a convenzioni sociali. Ecco, anche nella vita etica, così come tratteggiata dal filosofo, emerge inevitabilmente il rovescio della medaglia perché l’inevitabile negatività di una vita ligia a ogni forma di dovere e disciplina si manifesta in un totale svuotamento dell’Anima. In entrambi in casi, della vita estetica ed etica, è il conformismo unito all’omologazione e alla negligenza a costituire la minaccia per il conseguimento di una vita felice.
Kierkegaard trovava una soluzione a quest’impasse nello stadio religioso, inteso come unica possibilità in cui l’uomo potesse trovare davvero la sua salvezza. Così in Timore e Tremore egli prende a modello la figura di Abramo che, senza interrogarsi ulteriormente sul volere del suo Dio, sarebbe stato disposto a compiere ciò che andava compiuto solo perché Dio glielo aveva ordinato.
Aldilà della libera adesione alla fede, ciò che più conta del lascito kierkegaardiano per la salvezza dell’uomo contemporaneo è il fatto che la filosofia di Kierkegaard pone sempre dinanzi all’uomo l’imminenza e la possibilità della Scelta. Essa è in grado di Risvegliare l’Anima sopita perché smarrita nella notte di piaceri futili e ingannatori.
Solo ascoltando la Chiamata, che si manifesta nell’intercapedine tra i diversi stadi della vita, sarà allora possibile perseguire il fine di una Vita Autentica e felice. E così come Kierkegaard parlava di Angoscia come di quel sentimento che smascherava l’Infelicità dello stato di cose in cui ci troviamo, allo stesso modo la crisi dell’Anima ci si offre come dimensione di possibilità per venir fuori dalla finitezza e dall’insoddisfazione delle cose effimere.
Riferimenti bibliografici
Søren Kierkegaard, La malattia mortale, tr. it. di Christian Kolbe, Marina di Massa, Edizione clandestine, 2017.
-, Aut-Aut, tr. it. di K. M. Guldbrandsen, R. Cantoni, Milano, Mondadori, 2016.
-, Il concetto dell’angoscia, Milano, Se, 2024.
-, Il diario del seduttore, a cura di Ingrid Basso, Milano, Feltrinelli, 2019.
Remo Cantoni, La coscienza inquieta, Milano, Mondadori, 1949.
Alessandro Cortese, Kierkegaard oggi, Milano, Vita e Pensiero, 1986.